.. Loredana Vaccani, Stefano Grigolato, Giorgio Ghezzi, Giorgio Montecchi, ma in particolare a Romano Vecchiet da Loredana Morandi, pronipote del letterato garibaldino Luigi Morandi.
Riporto per intero, un brano in merito al quale tempo fa, dopo aver inorridito sulle dichiarazioni dell'udinese Vecchiet, rivolsi una lettera all'editore del brano in questione, tal simpatico professore, con tema la prosopopea e la tracottanza dei bibliotecari pubblici.
Nella lettera mi domandavo infatti se la Vaccari o lo stesso Vecchiet avessero mai donato ad una nascente Repubblica le intere "mura" della propria biblioteca, in vita loro, come fece in quel di Bolzano il senatore Luigi Morandi, con personale slancio nei confronti di quel popolo, per la cui riunificazione in una sola bandiera aveva versato il proprio sangue a Mentana, giovanissimo in camicia rossa garibaldina nel 1867.
Qui desidero con la più sfrontata sincerità esser tacciata di "paternalismo", che se non ci fossero stati uomini generosi e impegnati per il Popolo come il Morandi, non sarebbe mai nata l'ambita professione del bibliotecario a stipendio pubblico, frutto oggi giorno di ogni sorta di corruttela e raccomandazione nata dal cinquantennio della DC e proseguita fino ai tempi nostri dove basta il cognome a far il direttore del museo o della soprintendenza, e a "Dio" piacendo non avremmo dovuto leggere tante dotte quanto moderne fesserie.
Quanto a noi Morandi, certo siamo più poveri a cagion della odierna dotta scempiaggine, ma non meno colti dopo il generoso letterato con più d'una generazione di giornalisti. Perchè, cari miei, la cultura non è la gretta e cieca critica ortografica sulle ridondanze di un testo, bensì l'analisi di un epoca e l'esatta collocazione dei personaggi e dei fatti nel contesto.
Parlerà quindi per me la "scimmia" del buon Trilussa e come rispose all'Omo, che la sbeffeggiava nel famoso dialogo: "Sfido! T'arissomijo tanto!"
Loredana Morandi
segue l'articolo incriminato
Dalle biblioteche popolari alla biblioteca pubblica: il caso italiano
Resoconto del seminario del 23 febbraio 1998 / a cura di Loredana Vaccani e Stefano Grigolato
http://www.aib.it/aib/sezioni/lom/re980223.htm
Il 23/02/1998 si è svolto il Seminario di studi "Dalle biblioteche popolari alla biblioteca pubblica, il caso italiano", organizzato dalla sezione Lombardia dell'AIB in collaborazione con la Società Umanitaria.
L'AIB Lombardia ha inteso così offrire una occasione di approfondimento e di riflessione teorica sul retroterra della professione di bibliotecario e sulla biblioteca pubblica, così come è venuto configurandosi nella concreta realtà storica dell' Italia del secolo scorso e dei primi decenni di questo.
E' il proseguimento ideale di una riflessione iniziata con il Convegno di studi su Ettore Fabietti e le biblioteche popolari, tenutosi sempre nella sede dell'Umanitaria nel 1994.
Dopo un breve saluto di Stefano Grigolato in sostituzione di Loredana Vaccani, assente per malattia, a nome del Comitato Esecutivo Regionale dell' AIB, Claudio Temeroli della Biblioteca di Forlì ha iniziato i lavori del Seminario, proponendo un sintetico excursus della storia delle biblioteche italiane e soffermandosi in maniera particolare sulla esperienza delle biblioteche popolari a cominciare da quella pionieristica di Antonio Bruni a Prato per arrivare a quella della Società Umanitaria ed dalla figura di Ettore Fabietti che hanno dato un contributo decisivo alla promozione delle biblioteche popolari in Italia.
Riflettendo sul ruolo e sulla funzione del bibliotecario e delle biblioteche pubbliche nella società contemporanea, Temeroli ha concluso il suo intervento citando Ortega Y Gasset: di fronte alla quantità enorme di informazione prodotta sia sui sopporti informativi tradizionali che su quelli digitali che viaggiano in rete, la missione del bibliotecario si configura sempre più come quella di un mediatore, di selezionatore della informazione veramente valida e significativa. Da qui l'importanza vitale della funzione delle biblioteche pubbliche in un mondo in continua e frenetica trasformazione.
Romano Vecchiet, Direttore della Biblioteca comunale di Udine, ha inteso nel suo intervento approfondire il dibattito biblioteconomico in merito alle biblioteche popolari nel periodo dell'ultimo trentennio del secolo scorso; un periodo che, ponendosi a cavallo tra l'esperienza di Antonio Bruni a Prato e quella milanese di Ettore Fabietti, non era stato adeguatamente studiato. Vecchiet trae alimento alle sue riflessioni da tre opere che affrontano i problemi delle biblioteche per il popolo: Le biblioteche circolanti, di Luigi Morandi, deputato di orientamento democratico, pubblicato a Firenze nel 1868; Delle biblioteche circolanti nei comuni rurali, di Vincenzo Garelli, pedagogista di orientamento rosminiano, edito a Torino nel 1870; Autodidattica e biblioteche popolari di Giuseppe Neri, un maestro elementare poi Ispettore scolastico, pubblicato nel 1888 a San Casciano.
Nei tre autori, ma soprattutto in Giuseppe Neri, è preponderante l'enfasi e l'entusiasmo pedagogico,mentre sono ignorati i problemi organizzativi, anzi è sufficiente "l'entusiasmo del bene" senza dover scendere nei dettagli pratici. Non c'è alcun bisogno, scrive poi Morandi, di sovvenzioni statali, perché per le biblioteche basta il contributo volontaristico dei singoli.
Per Neri la biblioteca popolare deve rimanere comunque uno strumento sussidiario della scuola, organizzata da un maestro elementare e non da un bibliotecario. Garelli è dell'opinione che le collezioni debbano contenere solo libri educativi ed edificanti: le classi subalterne devono essere paternalisticamente convertite ai sani valori borghesi e patriottici.
Analogamente, per Luigi Morandi le biblioteche circolanti hanno la funzione di fare degli operai e degli altri appartenenti ai ceti inferiori dei patrioti consapevoli e convinti, dei veri Italiani.
Appare chiaro come per gli autori citati, nessuno dei quali è bibliotecario per formazione o professione, la biblioteca popolare si configuri essenzialmente come espressione di una cultura borghese vagamente positivista e filantropica, permeata di ideali risorgimentali, ed atteggiata ad un deciso, e politicamente preoccupato, paternalismo nei confronti dei ceti popolari.
Giorgio Ghezzi ha affrontato il periodo delle biblioteche popolari successivo all'avvento del fascismo: il regime si preoccupa di controllare e poi di fascistizzare tutte le istituzioni culturali politicamente pericolose o anche neutre, in base ad un progetto, non sempre perseguito coerentemente, già appropriatamente definito "fabbrica del consenso"; in quest'ottica anche le biblioteche popolari, che si erano organizzate per iniziativa di Fabietti nel 1909 come Federazione italiana delle Biblioteche popolari, vengono a confluire nel 1932 nell' Ente nazionale per le biblioteche popolari e scolastiche, rigidamente controllato dal partito e dal governo.
L'intervento del Relatore si focalizza sull'Elenco di autori non graditi in Italia di cui si proibiva la stampa, la lettura e la eventuale traduzione in italiano, pubblicato nel 1941 dalla Commissione appositamente istituita nel 1938. In 86 pagine vengono elencati 1.100 autori e 1.600 opere nocive politicamente o moralmente.
Lo studio di Ghezzi permette di delineare alcune tipologie di libri ed autori proibiti: libri sul Duce (es. la biografia di Mussolini scritta da Prezzolini), libri sulle esperienze belliche etiopiche e spagnole (es. Oggi in Spagna, domani in Italia di Carlo Rosselli); opere di autori ebrei o che trattino di argomenti ebraici; libri di contenuto antifascista; libri considerati pornografici in base al senso del pudore espresso all'epoca (tra cui le opere di romanzieri come Pittigrilli, ma anche classici come Boccaccio, Casanova, Balzac, Mirabeau, e parecchi testi scientifici di sessuologia). E' significativo che sulle 17 opere che superarono le duecentomila copie vendute in Italia durante la dittatura fascista, ben 13 comparissero nell'elenco.
A Giorgio Montecchi, docente di biblioteconomia all'Università di Milano, è toccato il compito di trarre delle conclusioni di carattere generale dalle relazioni precedenti.
Dalla 5. Legge di Ranganathan: la biblioteca è un organismo in crescita, Montecchi trae spunto per affermare come sia riduttivo e semplicistico affermare che la nascita delle biblioteche pubbliche possa ascriversi al Public libraries Act del 1850, in cui il Parlamento inglese espresse la necessità di biblioteche aperte alla generalità dei cittadini, senza alcuna spesa per i servizi essenziali, finanziate dallo stato o dalle comunità locali. In realtà la genesi delle biblioteche pubbliche affonda nel lungo periodo, è necessario ribadirlo ripercorrendo anche brevemente la storia delle biblioteche in Italia, a cominciare perlomeno dalle grandi biblioteche umanistiche, quali la Malatestiana di Cesena, messe a disposizione del pubblico anche se costituito da un ristrettonumero di eruditi, e non di una istituzione ecclesiastica.
Con la Rivoluzione francese si afferma il principio che la lettura e l'accesso alla cultura ed informazione non è più un atto di munificenza e liberalità da parte di singoli o dello stato, ma un preciso diritto del cittadino, non più semplice suddito.
L'esperienza delle biblioteche popolari in Italia, che si inscrive in questa lunga tradizione, non si può quindi riduttivamente configurare come un semplice episodio ormai appartenente al passato; la preoccupazione pedagogica che sembra alla base della loro istituzione nella seconda metà del secolo scorso trova la sua giustificazione nel fatto che quasi i due terzi degli italiani erano analfabeti. In realtà quella delle biblioteche popolari è stata una esperienza concreta, formativa di generazioni di bibliotecari, ancora nel secondo dopoguerra (tra cui Giovanni Bellini, Direttore della Sormani), prima della loro definitiva scomparsa, nel 1978, appena vent'anni fa; esperienza vissuta e sofferta che, secondo Montecchi, all'affermarsi del concetto di biblioteca pubblica in Italia ha dato di più rispetto al modello astratto e distante della Public library inglese e più ancora statunitense che si è venuto affermando a partire dagli anni cinquanta.
L'OMO E LA SCIMMIA
L' Omo disse a la Scimmia:
-Sei brutta , dispettosa:
ma come sei ridicola!
ma quanto sei curiosa!
Quann' io te vedo, rido:
rido nun se sa quanto!...
La Scimmia disse : - Sfido!
T' arissomijo tanto!
Trilussa
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