Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Associazione Nazionale Magistrati

L'ANM sul dlgs riguardante i Consigli Giudiziari e il Consiglio Direttivo della Cassazione
Osservazioni allo schema di decreto legislativo recante: "Disciplina della composizione, delle competenze e della durata in carica dei consigli giudiziari ed istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, in attuazione della delega di cui agli articoli 1, comma 1, lettera c) e 2, comma 3, della legge 25 luglio 2005, numero 150."
1. Premessa.
Il decreto legislativo delegato in esame contiene norme sul Consiglio direttivo della Corte di cassazione - organismo di nuova istituzione destinato a svolgere funzioni consultive e di vigilanza in seno alla Corte - e sui Consigli giudiziari, operanti nei distretti di Corte d'appello.
In particolare il decreto disciplina:
a) la "struttura", la "composizione" e le "funzioni" dei Consigli ; b) il sistema di elezione dei componenti togati ( titolari e supplenti); c) la durata in carica dei Consigli e le loro modalità di rinnovo ; d) il sistema di elezione dei componenti togati.
2. Il Consiglio direttivo della Corte di cassazione
L'istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione rappresenta una novità di indubbio rilievo.
Come è noto la Corte di cassazione non ha mai avuto un consiglio giudiziario ed è stata governata e organizzata nel corso della sua storia esclusivamente dal Primo Presidente e dai presidenti titolari delle diverse Sezioni senza che fossero previsti apporti di conoscenza o "pareri" di rappresentanti dei magistrati.
Solo di recente, per iniziativa interna, era stato costituito, in seno alla Corte, un organismo - il c.d. gruppo consultivo - con la funzione di fornire pareri ed ausilio agli organi di direzione della Corte nei suoi compiti di valutazione della professionalità dei magistrati nonché di organizzazione e di direzione degli uffici.
Il tratto positivo dell'innovazione appare però sminuito dalla "composizione" del nuovo organismo che gli conferisce un carattere spiccatamente verticistico.
Ai due membri di diritto del Consiglio direttivo (il Primo Presidente ed il Procuratore generale) si affiancano, infatti, due membri esterni ( un professore ordinario di materie giuridiche designato dal Consiglio Universitario nazionale ed un avvocato nominato dal Consiglio Nazionale Forense), due magistrati che esercitano funzioni direttive(rispettivamente giudicanti e requirenti) e solo tre magistrati non investiti di funzioni direttive (due giudici ed un sostituto procuratore generale).
Pur eleggendo "tutti" i componenti togati, la grande maggioranza dei magistrati della Corte avrà solo tre rappresentati della propria categoria in seno al C.D. della Corte, corrispondenti ad un terzo del Consiglio.
Inoltre il sistema di elezione dei componenti togati riproduce quello attualmente in vigore per le elezioni del CSM.
Le elezioni si svolgeranno dunque sulla base di autocandidature individuali, con l'espressione da parte di ogni magistrato di quattro voti singoli per ciascuna delle quattro categorie di rappresentanti (direttivo giudicante, direttivo requirente, giudicante e requirente).
Valgono qui tutte le perplessità e tutti i rilievi critici già espressi su di un siffatto sistema elettorale all'epoca della sua introduzione per le elezioni dei membri togati del CSM.
Si tratta infatti di un sistema elettorale maggioritario, che ignora e comprime il pluralismo ideale e culturale della magistratura e risulta del tutto inidoneo per la provvista di un organismo che non ha funzioni di governo (che possono richiedere maggioranze omogenee e coese) ma compiti di valutazione della professionalità e funzioni consultive (che per loro natura richiedono giudizi puntuali e differenziati e non voti di maggioranze predeterminate).
Da ultimo - in queste brevissime note che preludono ad un più approfondito esame - va segnalato che il CD esercita le sue funzioni con un assetto a geometria variabile.
Infatti i due rappresentanti esterni partecipano solo alla elaborazione del parere sulla tabella della Corte di cassazione( art. 7, lett. a ) ed all'esercizio della funzione di vigilanza sull'andamento degli uffici ( art. 7, lett. d) mentre il CD è composto esclusivamente da magistrati (i capi di corte ed i rappresentanti dei magistrati) nell'esercizio delle altre funzioni consultive, di vigilanza e di valutazione sulla professionalità dei magistrati della Corte.
Si tratta di una soluzione equilibrata che opera una meditata apertura ad apporti esterni al corpo dei magistrati in ordine a questioni di interesse generale, lasciando ai capi di corte ed ai membri togati le funzioni consultive e di vigilanza che riguardano i singoli magistrati , il loro status , la loro carriera nonché le valutazioni sulla loro professionalità.
Peraltro, proprio questo assetto strutturale variabile rende irrazionale la disposizione dell'art. 3 dello schema (che riproduce quella analoga contenuta nella legge delega) nella parte in cui prevede che il Consiglio elegge al suo interno un vice-presidente tra i componenti non togati. In primo luogo non sono chiarite le funzioni affidate al vice-presidente. Se, come sembra ricavarsi dal termine utilizzato, deve sostituire il presidente in caso di impedimento e simili, la disposizione è inattuabile laddove il Consiglio si riunisce a composizione esclusivamente togata. E la presenza di un apposito membro vicario renderebbe assai problematica l'individuazione di altro organo o componente deputato a fare le veci del presidente (come un delegato del presidente stesso). In realtà, la disposizione è stata modellata a imitazione dell'art. 104 comma 5 Cost., che prevede che il vice-presidente del C.S.M. sia eletto tra i componenti designati dal Parlamento, ma in una situazione completamente diversa, poiché in quel caso l'organo si riunisce sempre nella medesima composizione. Sarebbe, pertanto, opportuno che il decreto chiarisse questi aspetti, se non si ritiene di intervenire sulla legge delega.
3. I Consigli giudiziari
La composizione dei CG risulta opportunamente differenziata in relazione al numero dei magistrati da amministrare.
I CG , infatti, sono composti da dodici membri nei distretti in cui il numero dei magistrati è pari o inferiore a 350 : i due capi di corte, che ne sono membri di diritto, cinque rappresentanti dei magistrati, quattro membri laici (un professore designato dal CUN , un avvocato nominato dal Consiglio Nazionale Forense, due membri nominati dal Consiglio regionale) ed un rappresentante eletto dai giudici di pace.
Nei distretti con più di 350 magistrati il numero dei componenti del CG passa a quattordici perché il numero dei rappresentanti dei magistrati ordinari sale a sette.
Si è di fronte ad una positiva razionalizzazione che adegua la composizione degli organismi a carichi di lavoro amministrativo spesso assai differenziati e che - combinata a provvedimenti diversificati del CSM in tema di esonero parziale dal lavoro giudiziario dei membri dei CG - può porre le basi per un migliore svolgimento dei compiti istituzionali degli organismi consultivi.
In ordine al sistema elettorale - che replica il modello delle elezioni dei membri togati del CSM - valgono i rilievi critici già espressi in precedenza e le fortissime preoccupazioni per l'impropria adozione di un sistema elettorale atomistico e maggioritario per la provvista di un organismo che esercita funzioni consultive e di giudizio professionale.
Al pari di questo stabilito per il CD della Corte di cassazione anche per i CG è previsto un funzionamento a geometria variabile.
I cinque membri dei Consigli che non sono magistrati ordinari partecipano solo alla elaborazione dei pareri sulle tabelle degli uffici giudicanti e sulle tabelle infradistrettuali e sui criteri per l'assegnazione degli affari di cui all'art. 7, ter del R.D. n. 12 del 1941 ( art. 16, lett. a ), all'esercizio della funzione di vigilanza sull'andamento degli uffici ( art.15, lett. d) ed alla formazione dei pareri sull'organizzazione ed il funzionamento degli uffici del giudice di pace ( art. 15, lett.e).
Il CG è invece composto esclusivamente da magistrati ordinari ( i capi di corte ed i rappresentanti dei magistrati) nell'esercizio delle altre funzioni consultive, di vigilanza e di valutazione sulla professionalità dei magistrati del distretto.
Vale qui il giudizio cautamente positivo già espresso per questo modello in relazione al CD della Corte di cassazione.
Anche per i Consigli Giudiziari valgono le medesime osservazioni formulate per il Consiglio direttivo della Corte di cassazione in ordine alla nomina del vice-presidente tra i componenti non togati.
Va inoltre segnalato in negativo che né la legge delega né il decreto risolvono il problema del ruolo dei magistrati supplenti, sino ad oggetto nei differenti distretti di prassi amministrative diverse e contrastanti.
A conclusione di queste prime sommarie osservazioni va accennata una riflessione di carattere generale.
Se è vero che la parte relativa ai Consigli è una delle meno criticabili del nuovo ordinamento (anche se resta nettissima la critica al sistema elettorale prescelto ed al carattere verticistico del CD della Corte di cassazione) non si può dimenticare che i nuovi Consigli sembrano destinati ad operare in un ambiente istituzionale complessivamente negativo, contrassegnato dalla mortificazione e da un duplice svuotamento del governo autonomo.
Svuotamento per così dire "dal basso", per effetto della centralità conferita al farraginoso ed ingestibile sistema dei concorsi ed alle relative commissioni di concorso che avrà l'effetto di ridurre e svilire il ruolo di valutazione professionale dei CG e del CSM.
Svuotamento "dall'alto", in conseguenza della modifica costituzionale, già approvata in prima lettura dai due rami del parlamento - che preclude al CSM l'elezione del vice presidente e prevede la sua nomina da parte del Presidente della Repubblica.
Ne deriva che anche le misure in sé positive contenute nella legge delega e nel decreto sull'assetto e sulle funzioni dei CG perdono di effettiva incidenza e rischiano di apparire - e di essere- astratte razionalizzazioni di organismi privati della loro naturale centralità nel campo della valutazione professionale e della vigilanza ed inseriti in un circuito di autogoverno di ridotta autonomia.
Associazione Nazionale Magistrati

L'ANM sul dlgs riguardante la Corte di Cassazione
Osservazioni allo schema di decreto legislativo recante: “Modifica dell’organico della corte di cassazione e della disciplina relativa ai magistrati di merito applicati presso la stessa, in attuazione degli articoli 1, comma 1, lettera e) e 2, comma 5, della legge 25 luglio 2005, n. 150.”
1. Premessa
Va ancora una volta ribadito il dissenso alla soppressione della figura di magistrato di appello presso il Massimario, tenuto conto della esperienza maturata negli anni che ha dato modo di verificare che la destinazione alla partecipazione ai collegi per alcune udienze è stata una vera e propria palestra di formazione del magistrato di legittimità, che peraltro si pone in linea con il disegno riformatore che vuole accentuare una maggiore attitudine del magistrato a svolgere funzioni di legittimità attraverso delle verifiche.
La verifica dell’effettivo esercizio delle funzioni di legittimità, come realizzata per i magistrati di appello impegnati in misura ridotta rispetto ai consiglieri a comporre i collegi, non è da revocare in dubbio che sia uno dei dati concreti per poter poi accertare l’attitudine di quel magistrato a svolgere le funzioni in questione.
Per non perdere il patrimonio di preparazione maturato dai magistrati che da tempo, con funzioni di appello, sono destinati ai collegi, la disciplina transitoria prevede una regolamentazione che solo in parte può essere condivisa in quanto limita l’assorbimento di Cassazione solo a coloro che abbiano maturato i requisiti ad una certa data, mentre esclude l’assorbimento degli altri magistrati che, con le stesse funzioni, stanno continuando ad essere destinati ai collegi di legittimità, ma non hanno ancora acquisito i requisiti previsti dalla norma transitoria.
Una prima scelta che si impone è quella di non stabilire alcuna data fissa per il possesso dei requisiti, bensì di consentire ai magistrati che successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo acquistino i requisiti prescritti (continuando ad essere destinati ai collegi con i provvedimenti del Capo di Corte) di poter essere valutati dal Consiglio superiore per il conferimento delle funzioni di legittimità. Questa norma dovrebbe applicarsi sia ai magistrati del massimario sia, a maggior ragione, a quelli applicati alla procura generale sino ad esaurimento dell’esistente.
Qualora questa proposta, che appare la più ragionevole e, comunque, rispettosa delle funzioni già conferite e svolte dai magistrati di appello, sia requirenti che giudicanti, non sia condivisa, in via del tutto subordinata potrebbe esservi un’opzione che tuteli in parte questo interesse pubblico alla non dispersione di esperienze nel seguente modo.
2. Osservazioni all’art. 5, primo comma
La disposizione dell’art. 5, comma 1, lettera b), dello schema appare in testuale contrasto con la legge delega.
L’art. 2, comma 9, lettera i), della legge delega è, infatti, assolutamente inequivoco nello stabilire che ― ai fini del conferimento delle funzioni di legittimità da parte del C.S.M. ai magistrati in servizio nei posti soppressi ― i magistrati interessati debbono aver svolto le predette funzioni nei sei mesi antecedenti alla data di acquisto di efficacia del decreto legislativo recante la modifica dell’organico della Corte di cassazione, e non già nei sei mesi precedenti alla data di entrata in vigore della stessa legge delega, come invece si prevede nella disposizione in esame.
La formula «nei sei mesi precedenti la predetta data», che compare nel n. 2 della citata lettera i) del comma 9, risulta chiaramente riferita, difatti, «alla data di acquisto di efficacia delle disposizioni emanate in attuazione del comma 5», di cui è parola nell’alinea della medesima lettera i), che regge l’intera proposizione precettiva.
Proposta: all’art. 5, co. 1, lett. b) sostituire le parole “nei sei mesi antecedenti alla data di entrata in vigore della legge 25 luglio 2005, n. 150” con le parole “nei sei mesi antecedenti alla data di acquisto di efficacia del presente decreto legislativo che sopprime i posti di magistrato di appello addetti al massimario”.
Questa soluzione è giustificata da ragioni giuridiche, oltre che logiche e amministrative, nella considerazione che con il decreto delegato in questione sono soppressi i posti e si configura “il magistrato perdente posto” e, pertanto, dovrebbe essere questo il momento di verifica dei requisiti richiesti.
3. Osservazioni all’art. 5, secondo comma
L’art. 2, comma 9, lettera l), della legge delega ― nel prevedere il transitorio trattenimento in servizio dei magistrati di appello per i quali non sia stato possibile il conferimento delle funzioni di legittimità da parte del C.S.M. ― presuppone evidentemente che essi mantengano in toto la posizione funzionale anteriore, anche per quel concerne il possibile esercizio delle funzioni di legittimità in base a provvedimenti dei Capi degli uffici. E ciò nella logica prospettiva di evitare una irragionevole sperequazione in loro danno, dato che — diversamente opinando — i predetti magistrati, pur conservati nel posto, non eserciterebbero più una parte rilevante delle loro attuali funzioni (ed anzi, nel caso dei magistrati di appello applicati presso la Procura generale della Corte di cassazione, rimarrebbero praticamente privi di compiti significativi, dato che presso la Procura generale non esiste un ufficio del massimario).
Sembra quindi esservi un eccesso di delega nella soppressione dell’art. 115, primo comma, secondo periodo, O.G., laddove fa venir meno anche in via transitoria la possibilità per i Capi di Corte di applicare in udienza i magistrati del massimario Per quanto riguarda i magistrati destinati al massimario con funzioni di appello va posto in rilievo che la soppressione dell’art. 115 O.G. si pone in contrasto con lo stesso decreto legislativo laddove prevede che i magistrati di appello restano in via transitoria negli uffici soppressi nello stesso status rivestito di magistrato di appello.
Proposta: All’art. 5, comma 2, dopo le parole “sono trattenuti, in via transitoria, in servizio nei posti soppressi” aggiungere le seguenti parole: “ad essi continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 115, comma 1, secondo periodo, e 116, comma 1, secondo periodo, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, nel testo vigente anteriormente al presente decreto legislativo”.
Associazione Nazionale Magistrati

1. L'ANM ed il progetto di riforma della Costituzione.
Il procedimento di revisione costituzionale è prerogativa del parlamento e del popolo eventualmente chiamato ad esprimersi nel referendum.
L'associazione nazionale magistrati ha però ritenuto doveroso svolgere osservazioni ed esprimere valutazioni sulle modifiche costituzionali che hanno una diretta incidenza sull'assetto della giurisdizione ordinaria e costituzionale, sul sistema del governo autonomo della magistratura e sulla tutela giurisdizionale di fondamentali diritti sociali; e ciò ha fatto in un ampio documento elaborato su questi temi.
Sintetizzando i contenuti dell'ampia riflessione svolta, la giunta dell'associazione richiama l'attenzione su tre aspetti della revisione costituzionale in atto.
2. Sulle modifiche della composizione e delle funzioni della Corte costituzionale.
Il progetto di revisione costituzionale introduce innovazioni che potrebbero incidere, alterandoli profondamente, sulla natura e sul funzionamento della Corte costituzionale.
Il nuovo art. 135 aumenta da cinque a sette il numero dei giudici nominati dal Parlamento, dei quali tre vengono eletti dalla Camera e quattro dal Senato; parallelamente riduce a quattro sia i giudici nominati dal Presidente della Repubblica sia i giudici eletti dalle supreme magistrature.
Contemporaneamente il nuovo testo dell'art. 128 amplia grandemente la competenza della Corte, aprendo la strada al contenzioso delle autonomie locali (Province, Comuni e città metropolitane). Si immettono, così, nel circuito della giustizia costituzionale oltre ottomila nuovi soggetti che verrebbero ad incrementare il cospicuo contenzioso di cui la Corte già oggi è chiamata ad occuparsi con riguardo alle sole Regioni.
Con l'aumento della componente eletta dal Parlamento si accentua seriamente il rischio che la Corte costituzionale diventi l'espressione della maggioranza politica contingente e subisca una impropria e negativa politicizzazione.
Inoltre la progettata estensione delle competenze della Corte al contenzioso delle autonomie locali rischia di inceppare gravemente il funzionamento dell'organo di giustizia costituzionale
Infatti il contenzioso delle autonomie locali si sommerebbe al già elevato contenzioso delle Regioni (v. Camera dei deputati, rapporto 2004-2005 sullo stato della legislazione, 11 luglio 2005), alimentando il tasso di diretta politicità dell'intervento della Corte, compromettendone l'efficienza ed incidendo negativamente sulla tempestività dei giudizi incidentali.
3. L'intervento sul Consiglio Superiore della Magistratura.
L'art. 26 del disegno di legge costituzionale riscrive l'art. 87 della Costituzione prevedendo che il vice presidente del CSM (non sia più come oggi eletto dal Consiglio ma) venga nominato dal Presidente della Repubblica.
L'art. 36 del disegno di legge prevede poi, in coerenza con la modificazione appena illustrata, l'abrogazione dell'attuale quinto comma dell'art. 104 cost., ove si dispone che il vice presidente è eletto dal Consiglio fra i componenti designati dal Parlamento.
La vigente Costituzione ha realizzato un felice equilibrio nel disciplinare il vertice del CSM.
Se l'attribuzione al Capo dello Stato della "presidenza" dell'organo rappresenta una garanzia fondamentale ed una forma di tutela del Consiglio nei rapporti con altri poteri dello Stato, la previsione di una "vicepresidenza" eletta dall'assemblea completa i contenuti di garanzia della presidenza del Capo dello Stato, perché esprime il massimo grado possibile di autonomia funzionale del Consiglio.
Dalla modifica proposta scaturisce invece una riduzione dell'autonomia del Consiglio Superiore giacchè questo viene privato del potere (normalmente proprio degli organi collegiali) di eleggere nel suo seno il soggetto che quotidianamente presiede i suoi lavori, cioè il vice presidente.
Alla compressione dell'autonomia del Csm si accompagna, nel disegno di revisione, lo svilimento della figura del vice presidente, che, allontanato dall'assemblea plenaria, rischia di ridursi a mero delegato, privo di un autonomo ruolo di mediazione e di autorevole moderazione della dialettica tra le componenti del Csm.
4. Le possibili ricadute sul giudiziario delle modifiche dell'art. 117 della Costituzione.
Va inoltre rappresentato il rischio che la competenza legislativa esclusiva espressamente attribuita alle Regioni in materia di "assistenza e organizzazione sanitaria" e di "organizzazione scolastica e formazione" dal nuovo testo dell'art. 117 Cost. autorizzi forti differenziazioni dei sistemi sanitari e scolastici e delle prestazioni erogate nelle diverse regioni.
In tal caso ci si troverebbe di fronte a diversi regimi di accesso alle prestazioni sanitarie o agli istituti scolastici per i residenti ed i non residenti in una determinata regione ed all'affermarsi di preclusioni, di ostacoli, di discriminazioni del tutto ignote nell'ordinamento attuale.
Si rappresenta perciò l'esigenza che l'interpretazione e l'attuazione delle modifiche risultino il più possibile ragionevoli e tali da evitare situazioni avvertibili come ingiustificate discriminazioni che, tra l'altro, comporterebbero conseguenze estremamente negative anche per l'amministrazione della giustizia che sarebbe inevitabilmente chiamata a far fronte a nuove forme di contenzioso.
Roma 19 ottobre 2005 La Giunta Esecutiva Centrale Associazione Nazionale Magistrati
Associazione Nazionale Magistrati

L’ALLARME SULLA PRESCRIZIONE CONFORTATO DAI DATI RACCOLTI DALLA ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI
Nella perdurante inerzia del Ministro l’associazione nazionale magistrati ha autonomamente avviato una raccolta di dati presso le Corti di Appello per verificare gli effetti delle modifiche apportate dalla legge in corso di approvazione sulla prescrizione dei reati.
I primi dati raccolti grazie all’impegno delle giunte distrettuali della associazione riguardano le Corti di Appello di Bologna e di Milano.
I risultati sono estremamente allarmanti.
Nel distretto di Milano, per effetto delle modifiche del regime della prescrizione introdotte dalla nuova legge, si prescriverebbe immediatamente oltre il 40% dei reati oggetto di procedimenti pendenti.
Tra questi spiccano i delitti di corruzione che si prescriverebbero in una percentuale pari al 78% e i delitti di usura in una percentuale pari al 61%.
Un altro considerevole numero di reati - il 12% - si prescriverebbe nel giro di un anno dalla approvazione della legge.
Discorso analogo per i processi pendenti presso la Corte di Appello di Bologna . Con le norme attualmente in vigore la percentuale dei reati destinati ad essere dichiarati estinti per prescrizione ammonta al 9,57% del totale dei reati in processi pendenti.
Con le modifiche apportate dalla legge in corso di approvazione si arriverebbe al 40% circa.
Particolarmente significativo il dato relativo ai delitti in tema di violazione della legge sugli stupefacenti che per le ipotesi di cessione e spaccio di droghe c.d. leggere vede dimezzati i tempi di prescrizione (da 15 anni a 7 anni e sei mesi).
Si tratta dunque di un aumento della prescrizione dei reati che supera il 300%.
I dati appena offerti sono altamente attendibili perché desunti dalla analisi di tutti i procedimenti pendenti distinti per tipologie di reati senza prendere in considerazione i reati già prescritti al momento della rilevazione.
Roma, 19 ottobre 2005 La Giunta Esecutiva Centrale


Gentili Lettori,
il Movimento per la Giustizia e Magistratura Democratica stanno per pubblicare sui loro siti, www.movimentoperlagiustizia.it e www.magistraturademocratica.it due importanti documenti frutto del comune impegno in un unico Gruppo del civile: si tratta delle "Osservazioni sui principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega 80/2005 e sulla bozza di d.lgs approvata dal Consiglio dei Ministri del 23.9.2005 in materia di riforma della legge fallimentare" e delle "Osservazioni sulla riforma del codice di procedura civile attuata con la legge n.80/2005 e sulle proposte di modifica".
Questi documenti nascono dalla comune esperienza di Md e del Movimento nel Gruppo del civile, nel quale da anni magistrati aderenti ai nostri Gruppi, ma anche tanti altri non aderenti ad alcuna corrente, professori universitari ed avvocati hanno saputo costruire una esperienza intensa e feconda.
In questi anni, accanto alla violenta aggressione alla giurisdizione, alla magistratura e a singoli magistrati, abbiamo visto modifiche del processo civile che appaiono il frutto di una produzione alluvionale che si svolge al di fuori di un progetto coerente per la giustizia. Sono stati sistematicamente ignorati tutti i suggerimenti e tutti i progetti di riforma provenienti dalle associazioni forensi, dalla ANM, dagli Osservatori sulla giustizia civile e, anziché perseguire con coerenza un indifferibile recupero di funzionalità del sistema giudiziario con una migliore organizzazione delle scarse risorse, la collaborazione tra gli operatori e la ricognizione e promozione delle prassi più efficaci, si è preferito moltiplicare i riti processuali con aggravio e crescente disagio per gli operatori e gli utenti.
La stessa riforma delle procedure concorsuali allontana ancor di più il nostro sistema da un'organica e razionale ricomposizione della disciplina dell'insolvenza, che resterà caratterizzata da una estrema frammentarietà e dalla coesistenza di modelli procedimentali eterogenei, svilendo la funzione di controllo giudiziario della crisi d'impresa e realizzando la progressiva emarginazione della giurisdizione ordinaria rispetto al mercato ed all'economia.
Crediamo che questi documenti possano costituire un importante contributo al dibattito tra i magistrati, gli avvocati, gli studiosi. Essi rappresentano un avvio, e non una conclusione, del lavoro del nostro Gruppo del civile; nel pubblicarli non possiamo che ringraziare tutti coloro - colleghi, docenti ed avvocati - che hanno dedicato il loro tempo e la loro passione alla costruzione di un possibile modello alternativo all'attuale situazione di crisi.
Nino Condorelli Segretario del Movimento per la Giustizia
Ignazio Juan Patrone Segretario di Magistratura Democratica
Chi alimenta la ’Ndrangheta di Enzo Ciconte
La ’ndrangheta che ha agito a Locri quando ha ucciso Francesco Fortugno non ha niente di arretrato o di arcaico, è una mafia forte che lancia una sfida alla politica calabrese e allo Stato. C’è in gioco la signoria del territorio, del comando. Chi deve governare la Calabria? Il potere delle istituzioni o quello della ’ndrangheta? Questo è il cuore della sfida che ha lanciato chi ha armato la mano del killer. Già! Chi l’ha armata? È pensabile che un omicidio così plateale sia stato ordinato solo a Locri da una qualche famiglia locale? O non si deve pensare a un concorso di più volontà da parte di quegli uomini che compongono la struttura di comando delle ’ndrine che è stata formata dopo la pace siglata nel 1991 che aveva concluso una guerra che era durata un lustro e che aveva lasciato sulle strade quasi un migliaio di morti?
Nella ’ndrangheta non c’è la commissione provinciale, ma una struttura più agile che si riunisce per decidere cose importanti che riguardano tutta l’organizzazione. Chi ha deciso quell’omicidio - al di là della motivazione immediata legata alla sanità locale - ha scommesso sulla debolezza della risposta dello Stato. Toccherà allo Stato attrezzare una nuova qualità della risposta che sia all’altezza della sfida lanciata. I giovani della locride hanno cominciato a reagire. Sarebbe un imperdonabile errore lasciarli soli. La risposta deve essere diversa da quella del passato e deve essere legata alla comprensione della natura della criminalità mafiosa calabrese.
Nella storia plurisecolare delle mafie italiane la ’ndrangheta è stata la più sottostimata e la più sottovalutata. La responsabilità di ciò risale a tanto tempo fa. Storici, sociologi, giornalisti, intellettuali hanno inizialmente studiato la camorra poi, a partire dai primi decenni dopo l’unità d’Italia, lo studio della mafia catturò l’interesse di tutti. Sono innumerevoli i libri che si occupano della mafia siciliana seguiti da quelli che si occupano di camorra. Quelli che trattano di ‘ndrangheta si contano al massimo sulle punta delle dita di due mani.
La Calabria è stata considerata come una regione arretrata, culturalmente chiusa, con tratti di inspiegabile primitivismo. Le sue grandi, splendide montagne - la Sila e l’Aspromonte - evocano idee di selvatichezza ed arcaicità legate come sono all’epopea grandiosa ma disperata e dolorosa del brigantaggio o a quella più recente, e per niente eroica, dei sequestri di persona con il loro carico di dolore. La criminalità che era il prodotto di quelle terre non poteva che essere selvaggia, violenta, crudele, e gli uomini che ne facevano parte dovevano essere orridi, spietati, ignoranti. Così hanno ragionato in molti. La Calabria è in fondo allo stivale, terra lontana che politicamente e socialmente ha pesato molto di meno a fronte della Sicilia e della Campania. I mafiosi calabresi sembravano un po’ incomprensibili, intestarditi com’erano a usare i vecchi codici, a rispettare i rituali di affiliazione e a costruire la loro struttura organizzata attorno alla famiglia naturale del capobastone. Intellettuali di vaglia ritenevano ciò come la prova migliore dei residui di arretratezza; gli stessi mafiosi siciliani, come ricordava Buscetta, irridevano i calabresi per questa loro testardaggine. Chi da lontano guardava alla ‘ndrangheta la riteneva una mafia locale, un sottoprodotto criminale, una filiazione della mafia siciliana. Insomma, ad una Calabria dallo scarso peso politico e sociale corrispondeva l’immagine di una mafia di basso profilo.
Questa idea sulla mafia calabrese è circolata per un lungo periodo storico, circola ancora oggi ed è dura a morire. Pochi magistrati e intellettuali l’hanno contrastata. Nonostante tutto quello che è successo sono ancora molti quelli che stentano a credere che nella criminalità operante in Lombardia, in Piemonte, in Liguria, in Valle d’Aosta, nel Lazio, in Emilia-Romagna la ‘ndrangheta sia l’organizzazione prevalente e dominante; o che essa sia riuscita a soppiantare cosa nostra nei traffici di droga arricchendosi enormemente. Quando la bufera dei collaboratori squassò Cosa nostra, la ‘ndrangheta ne rimase al riparo proprio per la struttura familiare che ne reggeva l’impianto organizzativo. Quella modalità di affiliazione considerata arretrata e folcloristica aveva funzionato come un formidabile scudo protettivo. La ‘ndrangheta è rimasta fedele alle sue origini - legata al territorio, con struttura familiare - ma ha saputo trasformarsi e rinnovarsi.
Continuità e trasformazione: ecco il segreto. Ed è qui che bisogna colpirla usando, tra gli altri strumenti, la cultura e la confisca dei beni.
L'Unità Online
Artists Against Wars
ARTISTI
per il
PAKISTAN
per un aiuto ai terremotati !
Cari Amici,
molti di voi in queste ore hanno seguito con tutta l'apprensione del caso gli esiti delle terribili scosse sismiche, che hanno sconvolto il Pakistan e la regione del Kashmir, colpendo principalmente la città di Muzaffarabad, ma anche la capitale Islamabad.
Le scosse violentissime, dal 5° al 7,8° grado della scala Richter, hanno avuto tali effetti devastanti a causa della prolungata durata (oltre 1 minuto) ed anche a cagione della profondità dell'evento tellurico (da 10 a 34 metri sotto il livello del suolo). Ciò ha provocato lo sgretolamento di intere masse rocciose e i devastanti crolli nell'edilizia abitativa e civile, che hanno falcidiato ad ora numerosissime vite umane, soprattutto tra i bambini.
Ad Islamabad, a Muzaffarabad, ma soprattutto nei centri minori colpiti dal sisma occorre tutto il necessario per sostenere i sopravvissuti, che hanno perduto la casa, il lavoro ed in molti casi gli affetti più cari.
La Rete Artisti contro le guerre, chiedendo a Tutti gli amici ed ai sostenitori un personale contributo, impegna l'Associazione "Argon" a far pervenire, nel più breve tempo possibile, tutti i fondi raccolti all'ufficio della Nunziatura Apostolica ad Islamabad, presso il Nunzio S.E. Mons. Alessandro D'Enrico in Pakistan.
Di ciò, anche a seguito di accordi telefonici, la Rete Artisti contro le guerre da informazione all'Ambasciata del Pakistan presso lo Stato Italiano, via della Camilluccia in Roma.
RingraziandoVi, di seguito potete trovare le coordinate bancarie:
c/c bancario 11048
Abi 5584 Cab 3205
presso Banca Popolare di Milano Ag. 256
via Gualtiero Serafino 8 - 00136 Roma
intestato a Associazione ARGON
causale "Artisti per il Pakistan"
Rete Artisti contro le guerre
per la Rete Artisti contro le guerre
Loredana Morandi
Associazione Culturale e di Promozione Sociale ARGON
il Presidente
Artisti contro la Finanziaria
di Loredana Morandi foto di Evandro Inetti
Un grandissimo successo la manifestazione di ieri al Capranica, tanto che già i tg delle venti ieri sera titolavano ad una parziale capitolazione del cavaliere e del suo ministro Buttiglione. Sfido, noi artisti, e fra di noi i più famosi, abbiamo facoltà di parola come e più dei politici, presenti all'evento di protesta in rappresentanza di tutti gli schieramenti, dall'altissimo Willer Bordon, capogruppo della Margherita al Senato, al rotondetto e silente Buontempo di An, che deve aver taciuto per tema del linciaggio, alla sempre presente e squisita Melandri dei Ds accompagnata, naturalmente, da Fassino.
Una citazione di merito per l'attenzione, che dedica alla vertenza spettacolo all'onorevole Giulietti, che simpaticamente mi ha salutata con una sorta di cameratesco mandato: "Domani voglio leggere le tue impressioni", segno questo che anche gli onorevoli leggono noi bloggers ma io, artista e giornalista, ricordo bene di aver visto il lavoro di Giulietti in quel degli Stati Generali dell'Informazione.
Al congresso è stato sicuramente di grande rilevanza politica l'intervento dei rappresentanti sindacali, Epifani della Cgil e Pezzotta della Cisl, il primo con una relazione politico nobiliare dal taglio poco incazzoso se di provenienza cgiellina, che ha comunque suscitato molti applausi, ed il secondo giunto quinto o sesto al microfono, che per la prima volta, finalmente, ha chiamato in campo uno slogan pacifista "Più Arte e meno guerra", e che ha dato una applaudita relazione di taglio tecnico, contenente finanche alcuni buoni propositi. Perchè diciamo la verità: NO, il governo i 170 miliardi del taglio al Fus non se li ritrova nelle tasche, visto che li ha appena spalmati sul ponte del cacciatorpediniere "Andrea Doria", varato vergognosamente ieri nel silenzio generale dettato dagli artisti alla stampa.
Alta ed incisiva è stata l'apertura del presidente dell'Agis, Alberto Francesconi che, rosso in volto e sinceramente arrabbiato, è stato interrotto molte volte dagli applausi spontanei della folla. Francesconi ha chiamato gli Stati Generali dello Spettacolo, anticipando una convocazione - appello, entro i prossimi 15 giorni. Ci incontreremo ancora per questa, che è repentinamente divenuta una vera lotta.
Del fantastico, folle e "sognatore" Roberto Benigni parlano tutte le pagine di oggi, ma in sala, e a nome di tutti gli artisti presenti, è stato molto incisivo, meno populista e più politico l'intervento dal palco di Massimo Ghini, che ha narrato dell'aver preso in mano il megafono all'esterno, ed arringato la folla di centinaia di artisti e operatori dello spettacolo in protesta, sgomenti per le prospettive future ex tagli, rimasti in piazza per gli esuberi dell'ex teatro Capranica.
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I Docenti di Diritto Penale sul DDL Nr 1899 in Tema di Legittima Difesa
A seguito dell'approvazione in Senato del disegno di legge n.1899 in tema di legittima difesa, i sottoscritti docenti di diritto e procedura penale ritengono indispensabile e urgente informare la pubblica opinione della reale portata della riforma proposta e fanno appello, nel contempo, agli onorevoli deputati, perché sia scongiurata la definitiva approvazione del disegno di legge varato dall'aula del Senato.
L'art.52 del codice penale, nel testo attualmente vigente, stabilisce che non è punibile chi commette un qualsiasi fatto costituente reato quando vi è "costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui dal pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa".
Il Senato ha approvato l'inserimento nell'art. 52 del codice penale dei seguenti commi aggiuntivi:
"Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma (violazione di domicilio, n.d.r.), sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale.".
Appare subito evidente che l'innovazione proposta non ha in nessun modo l'effetto di "ampliare" i limiti di principio della legittima difesa. E' infatti assolutamente pacifico che l'attuale normativa consenta la difesa, non solo dell'incolumità personale, ma anche dei beni patrimoniali, propri o altrui e, altrettanto sicuramente, del diritto all'inviolabilità del domicilio. Si aggiunga che l'art. 59 del vigente codice penale estende la non punibilità anche ai casi in cui chi agisce per difendersi creda solo per errore di essere aggredito nella persona o nei beni, e che l'art.55 dello stesso codice prevede una marcata attenuazione della responsabilità per chi ecceda colposamente nella legittima difesa da un'aggressione, reale o supposta, cagionando, senza averne l'intenzione, un danno maggiore del necessario.
La norma approvata dal Senato introduce però la presunzione che la reazione dell'aggredito sia sempre e comunque proporzionata all'offesa minacciata, quando il fatto avvenga nel domicilio dell'aggredito o nel suo luogo di lavoro. Ciò nell' intento di sottrarre al giudice, limitatamente a questi casi, la valutazione della proporzione tra offesa e difesa e di ridurre, conseguentemente, tempi e modalità di accertamento dei fatti.
E' però del tutto irragionevole equiparare comportamenti assai diversi fra loro, solo perché avvenuti in un determinato luogo. Anche a casa propria, si può reagire a un'interferenza in modo appropriato, oppure in modo manifestamente eccessivo. Non si può trattare allo stesso modo chi neutralizza un rapinatore armato, chi spara freddamente a un ladruncolo sorpreso a rubare nell'orto e chi coglie una buona occasione per sbarazzarsi dell'ex moglie infuriata, che si è introdotta in casa e gli sta sfasciando i mobili!
Costituisce, d'altra parte, una pura illusione - per non dire una mistificazione - l'idea che all'innovazione legislativa proposta possa conseguire l'eliminazione, o la significativa riduzione, delle sofferenze che causa all'aggredito il "normale" iter processuale che consegue all'emergere di una caso di possibile difesa legittima. E', infatti, evidente che in nessun caso si potrà prescindere dall'accertamento delle concrete circostanze in cui si è svolto il fatto (su cui, fra l'altro, potranno esserci versioni differenti da parte dei protagonisti e degli eventuali spettatori). Se qualcuno è stato ucciso o ferito, bisognerà sempre accertare le cause della morte o delle lesioni e il movente dell'azione, stabilire dove esattamente il fatto è avvenuto, e con quali modalità; se (come prevede la stessa norma approvata dal Senato) la persona che ha commesso il fatto era legittimamente presente sul posto, se deteneva legittimamente l'arma, se non vi fosse stata desistenza, se vi era stato pericolo di aggressione. Ma anche, aggiungiamo noi, se il corpo dell' eventuale vittima sia stato spostato, se l'aggressore non sia stato attirato di proposito sul luogo del fatto, ecc. Tutti accertamenti, questi, che richiedono esami testimoniali, perizie, consulenze, ispezioni del luoghi, e così via, con l'inevitabile corredo di informazioni di garanzia, nomina di difensori, ecc: atti, cioè, di carattere e di competenza prettamente giurisdizionale, almeno in uno Stato di diritto.
In realtà, disposizioni come quella approvata dal Senato rappresentano solo un arretramento a leggi di tipo casistico, come le "gride" di manzoniana memoria, annullando il progresso insito nel carattere generale e astratto della legge, proprio del diritto moderno. Esse, da un lato, mediante il ricorso alla "presunzione", mortificano in via di principio il ruolo del giudice; dall'altro, aprono la strada a inevitabili controversie applicative. Basti pensare, per fare un esempio banale, ai problemi che potrebbero nascere nei casi di liti violente fra vicini di casa!
Ma ben più grave, dal punto di vista ideologico, è l'implicita affermazione di principio che, in casa propria - o, peggio, sulla soglia della propria bottega - tutto sia lecito. Dal punto di vista politico-criminale, un solo effetto sarebbe certo: la rincorsa al possesso più o meno legittimo di armi da parte delle categorie e dei ceti più esposti, e la conseguente maggiore aggressività di una delinquenza, già di per sé ben agguerrita, consapevole dell'accresciuta aggressività "difensiva" delle potenziali vittime. La cronaca recente fornisce, a questo riguardo, esempi molto significativi. Nè ci vuole molta fantasia per immaginare l'instaurarsi di prassi malavitose, che vedano aumentare gli agguati predisposti attirando il proprio nemico in casa propria.
E' per questi motivi che i sottoscritti ritengono ormai indifferibile una forte mobilitazione contro riforme legislative, in cui non si sa dove finisca l'analfabetismo giuridico e dove inizi la malafede; e ritengono, per intanto, loro preciso dovere quello di sollecitare la più severa e vigile attenzione degli onorevoli componenti della Camera dei Deputati, nonché della pubblica opinione, perché sia bloccato l'iter parlamentare della ennesima disposizione di pura facciata - ma quanto mai pericolosa per la coerenza e la civiltà del sistema giuridico - con cui, in mancanza di meglio, si va alla ricerca di un facile consenso presso un'opinione pubblica disorientata e assai scarsamente informata.
Firme: Bruno Assumma, Università di Napoli Federico II; Giuliano Balbi, 2° Università di Napoli; Alessandro Bondi, Università di Urbino; Roberto Bartoli, Università di Firenze; Stefano Canestrari, Università di Bologna; Andrea Castaldo, Università di Salerno; Mauro Catenacci, Università di Teramo; Antonio Cavaliere, Università di Napoli Federico II; Agostino De Caro, Università del Molise; M.Valeria Del Tufo, Suor Orsola Benincasa - Napoli; Alberto di Martino, SSSUP di Pisa; Emilio Dolcini, Università di Milano Statale; Paolo Ferrua, Università di Torino; Giovanni Fiandaca, Università di Palermo; Carlo Fiore, Università di Napoli Federico II; Stefano Fiore, Università del Molise; Giovanni Flora, Università di Firenze; Luigi Foffani, Università di Modena-Reggio Emilia; Gabriele Fornasari, Università di Trento; Francesco Forzati, Università di Napoli Federico II; Carlo Federico Grosso, Università di Torino; Gaetano Insolera, Università di Bologna; Elio Lo Monte, Università di Salerno; Vincenzo Maiello, Università di Napoli Federico II; Stefano Manacorda, 2° Università di Napoli; Adelmo Manna, Università di Foggia; Ferrando Mantovani, Università di Firenze; Giorgio Marinucci, Università di Milano Statale; Enrico Marzaduri, Università di Pisa; Alessandro Melchionda, Università di Trento; Enrico Mezzetti, Università di Teramo; Sergio Moccia, Università di Napoli Federico II; Lucio Monaco, Università di Urbino; Vincenzo Bruno Muscatiello, Università di Bari; Tullio Padovani, SSSUP di Pisa; Francesco Carlo Palazzo, Università di Firenze; Carlo Enrico Paliero, Università di Milano Statale; Michele Papa, Università di Firenze; Paolo Patrono, Università di Verona; Massimo Pavarini, Università di Bologna; Domenico Pulitanò, Università di Milano Bicocca; Giuseppe Riccio, Università di Napoli Federico II; Andrea Scella, Università di Udine; Francesco Schiaffo, Università di Salerno; Giuseppe Spagnolo, Università di Bari; Federico Stella, Università Cattolica di Milano; Luigi Stortoni, Università di Bologna; Alfonso M.Stile, Università di Roma La Sapienza; Stefano Torraca, Università del Sannio; Francesco Viganò, Università di Milano Statale; Marco Zanotti, Università di Udine
DIRITTI SOCIALI E MERCATO GLOBALE
CONVEGNO Roma, 18 ottobre 2005 Sala Capitolare - Chiostro del Convento di S. Maria sopra Minerva Piazza della Minerva, 38 - Roma
I sessione IL RUOLO DELL’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO
Ore 9.30 – 11.00 · Giuseppe Bronzini, La Dichiarazione del ’98: contenuto e prospettive · Roberto Schiattarella, Gli effetti economici e sociali della tutela dei core labour rights · Giuliano Amato, Verso una fair globalization?
II sessione DIRITTI SOCIO-ECONOMICI TRA LEX MERCATORIA E ORGANISMI INTERNAZIONALI
Ore 11.15 – 13.30 · Maria Rosaria Ferrarese, L’evoluzione della lex mercatoria · Gianni Arrigo, Clausole sociali, codici di condotta e diritti sindacali nel commercio internazionale · Fabrizio Onida, Fair trade, standard sociali, imprese multinazionali e wto · Mario Pianta, Federico Silva, La “rottura” di Seattle
Ore 13.30 interruzione dei lavori
Ore 15.00 – 15.30 · Alessandro Montebugnoli, Le amministrazioni locali e la responsabilità sociale dell’impresa
III sessione IL RUOLO DELL’ UNIONE EUROPEA
Ore 15.30 – 17.00 · Cesare Pinelli, Le clausole sui diritti umani negli accordi di cooperazione internazionale dell’Unione · Stefano Rodotà, La via europea alla dimensione post-nazionale, · Laura Pennacchi, Un ruolo globale del sistema sociale europeo?
IV sessione SFERA PUBBLICA MONDIALE E GARANZIE SOCIALI
Ore 17.15 – 18.00 · Giacomo Marramao, Le idee · Luigi Ferrajoli, Le norme e le istituzioni
Ore 18.00 dibattito
Info: Fondazione Lelio e Lisli Basso Via della Dogana Vecchia, 5 – 00186 Roma www.fondazionebasso.it Si prega di dare conferma della presenza
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