Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Associazione Nazionale Magistrati

UN SISTEMA MACCHINOSO, LENTISSIMO ED INGESTIBILE PER LA COPERTURA DELLE VACANZE IN APPELLO
OGGI: il CSM pubblica normalmente ogni sei mesi (salvo le pubblicazioni straordinarie in caso di urgenza) il bollettino con l’elenco delle sedi scoperte da attribuire. Ad esempio, se il 5 gennaio 2005 si rende vacante un posto in corte d’appello, il C.S.M. lo pubblica in un periodo ricompreso da un minimo di un giorno ad un massimo di sei mesi, e le procedure necessarie per l’attribuzione non durano normalmente più di qualche mese
Data scopertura: 5 gennaio 2005. Presumibile copertura al più tardi entro il 31 dicembre 2005
DOMANI (SECONDO LA RIFORMA) sarà necessario:
-aspettare la fine dell’anno per determinare le due diverse quote (da assegnare una con esami e l’altra senza) basate sui posti “annualmente” vacanti;
-assegnare un termine ai magistrati che già svolgono funzioni analoghe da tre anni che hanno una priorità su tali posti;
-se nessuna priorità viene esercitata, espletare i due concorsi unici nazionali con modalità diverse per le due diverse quote, con la apposita commissione esterna;
-compilare due graduatorie uniche nazionali, previa rivalutazione dal parte del Csm, ed assegnare i posti vacanti riservati ad ognuna di esse sulla base presumibilmente dell’ordine di graduatoria.
Vi è in più la possibilità concreta che alcuni posti rimangano comunque scoperti alla fine della procedura perché nessuno dei vincitori in graduatoria sia interessato ad essi perché comporterebbero un trasferimento di sede eccessivamente disagiato
Data scopertura: 5 gennaio 2005. Presumibile copertura nel 2006 o 2007 (e ancora oltre in casi di rinuncia del vincitore del concorso)
LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE MASCHERATA
Al momento del concorso unico iniziale il magistrato indica la sua preferenza per la funzione di giudice o di pm. Il Csm effettua, dopo i due anni di tirocinio, la prima assegnazione di ufficio per coprire le sedi disagiate e meno richieste. Saranno assegnazioni, in grande misura, ad uffici di pm, anche per coloro che hanno espresso la preferenza per la giudicante. Entro i successivi tre anni i magistrati possano partecipare a concorsi per i posti “vacanti” nella funzione diversa da quella svolta inizialmente, e questa è l’unica possibilità per poter cambiare funzione.
In pratica se i posti vacanti nelle funzioni giudicanti, nei tre anni di primo esercizio delle funzioni dei vincitori di uno stesso concorso dovessero essere 100 e fossero messi tutti a concorso, qualora i partecipanti al concorso fossero 200 e risultassero tutti idonei, solo i primi cento otterrebbero l’accesso alle funzioni richieste.Gli altri cento sarebbero destinati per tutto il resto della loro carriera (in media circa 35 anni su 40) a rivestire la prima funzione assegnata loro, eventualmente anche contro la loro indicazione iniziale, senza mai poter accedere alla diversa funzione per la quale erano non solo comunque legittimati (avendo superato il concorso iniziale di ingresso), ma addirittura particolarmente qualificati (essendo risultati idonei nel concorso specifico superato entro i primi tre anni di esercizio delle funzioni).
La definitiva assegnazione ad una piuttosto che all’altra funzione sarà, nella maggior parte dei casi, determinata dal caso piuttosto che dalla preferenza iniziale dichiarata e dalla riconosciuta idoneità.
Allo stesso modo, la disciplina transitoria per i magistrati in servizio, renderà del tutto casuale riuscire ad ottenere entro i cinque anni il trasferimento alla diversa funzione desiderata e per la quale si è stati dichiarati idonei.
In conclusione la separazione delle funzioni si tradurrà di fatto in una separazione definitiva delle carriere, in contrasto con la vigente costituzione. La assegnazione definitiva all’una o all’altra funzione avverrà per la gran parte dei casi secondo criteri casuali, una sorta di lotteria dei posti vacanti; un sistema palesemente illogico ed illegittimo.
Roma, 26 ottobre 2004 La Giunta Esecutiva Centrale
Associazione Nazionale Magistrati

Il problema principale della giustizia è la crisi di efficienza: l’azione del Ministro della Giustizia, responsabile dell’organizzazione del servizio, è del tutto inadeguata.
L’ANM peraltro da sempre ha sostenuto che è necessaria una riforma organica dell’ordinamento giudiziario che assicuri una migliore qualità della giustizia, nella salvaguardia dei principi costituzionali sulla indipendenza della magistratura e sull’equilibrio tra le istituzioni dello Stato.
Dopo la forzatura rappresentata dalla conclusione affrettata del dibattito in commissione giustizia del Senato, la decisione di non precedere alla “blindatura” del testo, unita alle aperture manifestate da autorevoli esponenti politici, aveva lasciato sperare che si volesse riaprire un approfondimento sui nodi problematici della riforma, sotto il profilo della funzionalità e della coerenza al disegno costituzionale.
Le valutazioni critiche mosse dall’ANM non muovono da rivendicazioni di categoria, ma solo dalla consapevolezza, basata sull’esperienza, che la giustizia resa ai cittadini, con questa riforma, funzionerà molto peggio. Attraverso un sistema di carriera, una struttura interna rigidamente gerarchizzata ed un sistema disciplinare fortemente condizionante si pone, di fatto, in discussione il diritto dei cittadini ad avere un giudice indipendente da ogni altro potere e ad avere processi rapidi ed efficaci.
Non è un caso che le nostre critiche abbiano trovato il conforto di moltissimi autorevoli professori universitari ed avvocati.
Il maxiemendamento presentato dal Governo è elusivo e deludente: esso si limita a correggere incongruenze tecniche ed errori formali, elimina il privilegio inaccettabile e palesemente incostituzionale per i magistrati ministeriali, ma non tocca alcuno dei problemi di fondo.
L’ANM, che si è sempre mossa in spirito di dialogo costruttivo, esprime sin d’ora il più vivo sconcerto e l’allarme per questa posizione di chiusura ad approfondimenti reali e significativi.
L’ANM, nonostante tutto, continua ad auspicare fortemente che il Governo, nel corso del dibattito al Senato, voglia superare questa impostazione e riaprire un adeguato confronto parlamentare sulle questioni fondamentali. Se ciò non avvera sarà un danno non per la magistratura, ma per la giustizia resa ai cittadini.
La GEC dell’ANM delibera di convocare assemblee in tutti gli uffici giudiziari per mercoledì 27 ottobre p.v. dalle ore 12 alle ore 13 con temporanea sospensione delle udienze, sul tema “Crisi del servizio giustizia e controriforma dell’ordinamento giudiziario”.
Roma, 21 ottobre 2004 La Giunta Esecutiva Centrale

La legge finanziaria per il 2005 rischia di essere il colpo di grazia per un sistema giustizia sempre più ansimante.
Difatti il disegno di legge (AC 5310) della legge Finanziaria 2005, che ha cominciato il suo iter alla Camera il 4 ottobre 2004, prevede per il Ministero della Giustizia (tabella n. 5) una riduzione degli stanziamenti di € 717.752.987, e cioè da € 7.828.955.601 (previsioni assestate anno finanziario 2004) a € 7.111.202.614. La riduzione ammonta quindi ad oltre il 9%.
Il Governo potrebbe obiettare che nel 2004 vi era stato un incremento delle spese del 23,4% (+1.463,4 milioni di euro) rispetto all'anno precedente. Tuttavia, l'88,1 per cento della spesa (6.807,6 milioni di euro) era rappresentata da spese giuridicamente vincolanti, in massima parte (5.793,2 milioni di euro) dipendenti da fattori legislativi e da spese obbligatorie (relazione della maggioranza alla Commissione giustizia della Camera, on. Vitali, FI, seduta del 20.11.2003). Inoltre gran parte dell'aumento era assorbito dalla restituzione di somme anticipate dalle Poste. Si legge infatti nella relazione citata: "L'articolo 8, comma 3, autorizza la spesa di 823 milioni di euro, allo scopo di provvedere alla estinzione delle anticipazioni effettuate da Poste Italiane SpA per spese di giustizia fino al 31 dicembre 2002. Per spese di giustizia si intendono le spese che lo Stato deve anticipare, a norma di legge, nei procedimenti civili e penali". Su 1.463,4 milioni di euro quindi 823 milioni dovevano essere restituite alle Poste che le aveva dovuto anticipare, a dimostrazione della assoluta insufficienza degli stanziamenti per la giustizia. Rimanevano poco più di 600 milioni di euro, quasi interamente destinate al capitolo di spesa n. 1360 (su 321 capitoli di spesa per la giustizia complessive). Ma il cap. 1360 riguardava spese "obbligatorie" sulle quali Governo e Ministero non hanno margini di scelta, non possono cioè decidere di non pagare. Si tratta, infatti, di spese per periti, consulenti, testimoni, custodi, giudici popolari, difensori d'ufficio, ufficiali giudiziari, magistrati onorari, trasferte, gratuito patrocinio e intercettazioni telefoniche. Anche le altre "spese non classificabili", come risulta dalla legenda del capitolo, sono comunque obbligatorie, riguardando le spese per estradizioni, traduzioni, notifiche. Per il resto la spesa complessiva era rimasta immutata e, poiché è evidente che era aumentata la spesa per il personale (tra l'altro per la proroga dell'età pensionabile dei magistrati a 75 anni), ne conseguiva inevitabilmente un ulteriore riduzione delle altre spese relative al funzionamento della giustizia (in particolare per l'informatica). Tale ulteriore riduzione era particolarmente grave, perché incideva su importi già notevolmente ridotti nel 2003 rispetto agli anni passati.
Questa situazione già estremamente grave peggiora quest’anno giungendo ormai al limite di guardia. Al calo del 9 % corrisponde la crescita esponenziale delle spese “obbligatorie”. Si tratta di spese per le intercettazioni ( + 11,14 % nel primo semestre del 2004), per i magistrati onorari ( + 3,68 %), per i difensori di ufficio e il gratuito patrocinio ( + 14,37 %), per gli interpreti, gli ausiliari per la verbalizzazione e le trascrizioni ( + 19,37 %), oltre che per consulenti, testimoni, custodi, trasferte, giudici popolari; complessivamente nel primo semestre del 2004 + 13,14 %. Spese in parte doverose ed in parte derivanti da scelte legislative poco avvedute ( si pensi a quella relativa al patrocinio a spese dello Stato, in larga parte a favore di imputati irreperibili, che ha avuto un boom in questo periodo con una decuplicazione in dieci anni) che paiono destinate a una crescita difficilmente controllabile. Il risultato è un sistema nel contempo inefficiente e costoso, in cui manca qualsiasi progettualità e dove a breve gli uffici rischieranno di bloccarsi per i locali fatiscenti e la mancanza di risorse elementari. Sommando il taglio del 9 %, con la crescita esponenziale delle spese obbligatorie arriviamo a tagli che rischiano di arrivare al 15 % e che minano lo stesso quotidiano funzionamento della giustizia. Da un lato un declino che sembra inarrestabile della giustizia, dall’altra la mancanza di qualsiasi strategia lungimirante per il futuro. Il taglio di 22 milioni di euro per lo sviluppo dei progetti informativi ( compreso il processo telematico), di cui circa la metà di investimenti, è il simbolo di un Governo che non ha e non dà prospettive, salvo improbabili controriforme che guardano al passato. Non è più questione che riguardi solo i magistrati o gli addetti ai lavori, ma di una grande questione nazionale che incide sulla realizzazione dei diritti di ciascuno di noi e sullo stesso benessere collettivo.
Milano, 25 ottobre 2004
Il segretario nazionale Claudio Castelli
Anche se con un pochino di ritardo pubblico la sentenza del gip di Bari sui miliziani. Potete scaricare il file cliccando qui.
Un ennesimo vile atto d’arroganza e di imperio da parte del Ministro secessionista che vorrebbe riformare e garantire la Giustizia, a cui occorre opporsi con la forza della civiltà democratica, con coscienza autenticamente liberale.
Adriano Sansa è persona di indubbia integrità morale, dimostratasi, sempre, libera da ogni sorta di condizionamento ideologico o politico. In ogni ambito del suo operato è sempre stato centrale l’attaccamento ai principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale, come il suo agire sempre ispirato al rispetto rigoroso del Diritto.
Adriano Sansa ha sempre dimostrato, con il suo comportamento e con il suo operato di non avere padroni e di non assoggettarsi mai ad alcun Potere. Da magistrato ha sempre applicato la legge, criticandone gli eccessi o i limiti al solo fine di contribuire a renderla rispondente ai bisogni di Legalità e di un’effettiva applicazione del Diritto, partendo dall’esigenza di una giustizia volta a punire gli illeciti ed i delitti da chiunque essi siano stati commessi, poveri o ricchi, potenti o persone semplici.
Adriano Sansa è stato linciato pubblicamente e messo sotto accusa per aver detto quello che la Costituzione gli garantisce di dire: il suo Pensiero. E’ stato assolto dal Consiglio Superiore della Magistratura che rigettò le oltraggiose accuse del Ministro di Berlusconi.
Sappiamo tutti che a chi oggi ci governa non piace un giudice (e nemmeno l’uomo semplice) il quale avendo memoria dei fatti storici, ha saputo sempre applicare la legge e non ha mai assolto moralmente quanti operano per lo stravolgimento dell’ordinamento democratico del Paese.
La decisione di non firmare la nomina approvata in modo unanime dal CSM di Adriano Sansa a Presidente del Tribunale dei Minori di Genova, è gravissima per tutte queste ragioni; comportando altresì la conseguenza di lasciare il Tribunale dei Minori di Genova ancora paralizzato, dopo un intero anno, e dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che all’Ing. Castelli non importa nulla di garantire il funzionamento della Giustizia, contando per lui invece solo i suoi fatti personali.
Ci appelliamo al Presidente della Repubblica affinché, in qualità di Presidente del CSM, intervenga subito per dare attuazione alla delibera di nomina di Adriano Sansa a Presidente del Tribunale dei Minori così da tutelare l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati, minata dalla gestione operativa del Guardasigilli, oltre che dalle proposte di riforma della Giustizia mirate ad imbavagliare la magistratura.
Ci associamo ancora una volta al grido che, Adriano Sansa, portò in occasione della visita al Palazzo di Giustizia di Genova dell’Ing. Castelli: “VIVA L’ITALIA” LIBERA E FIGLIA DELLA COSTITUZIONE DEMOCRATICA!
Sito Internet: www.genovaweb.org/appellosansa.html

Il maxi emendamento presentato ieri dal Governo al Senato è un semplice maquillage. L'unico punto significativo che viene abbandonato è la corsia preferenziale che veniva creata a favore dei magistrati ministeriali. Per il resto si tratta di correzioni tecniche e di addolcimenti di punti scarsamente significativi. Rimane quindi la valutazione più volte espressa di una controriforma incostituzionale, impraticabile e pessima. I progetti della maggioranza di governo sono di far approvare il disegno di legge settimana prossima. Il passaggio alla Camera per l'eventuale approvazione definitiva è previsto per dicembre. Ancora una volta il metodo seguito è tale da impedire una seria discussione parlamentare con i lavori di Commissione troncati, un maxiemendamento ( il terzo per la cronaca) elaborato da pretesi "saggi" fuori dal Parlamento, tempi estremamente ristretti per la presentazione di possibili sub emendamenti. Ancora una volta il Parlamento sarà chiamato a ratificare e non a discutere. A fronte di un metodo inaccettabile e di contenuti restauratori che riporteranno la giurisdizione agli anni 50, la mobilitazione deve riprendere da subito. L'ANM ha indetto assemblee in tutti gli uffici con sospensione delle udienze per il prossimo mercoledì. Lo sciopero già proclamato, va fissato, tenuto conto dei tempi dei lavori parlamentari, in modo che possa avere la massima efficacia. Siamo i primi ad auspicare che intervengano ripensamenti e modifiche sui punti essenziali di quella che è una vera e propria controriforma, ma i fatti sinora avvenuti dimostrano unicamente l'arroganza e l'indisponibilità ad ascoltare di una maggioranza politica capace di capire solo la forza dei numeri e non le argomentazioni della ragione. La nostra battaglia continua e continuerà anche nella peggiore delle ipotesi ( l'approvazione della controriforma) in tutta la fase della stesura e della attuazione dei decreti delegati.
Milano, 21 ottobre 2004
Claudio Castelli Segretario nazionale di Magistratura Democratica

La riunione di ieri della G.E.C. allargata ai dirigenti dei Gruppi associativi ha confermato quanto peraltro ribadito oggi con il nuovo comunicato dell'ANM, emesso dopo aver potuto prendere visione del testo ufficiale del nuovo maxi emendamento del Governo: la nostra azione di protesta e di intransigente critica al pessimo progetto di (contro)riforma dell'ordinamento giudiziario - così come decisa con il deliberato del CdC del luglio scorso - non può che essere portata avanti senza tentennamenti né timidezze di alcun genere, di fronte al perdurare di un atteggiamento che, al di là delle dichiarazioni di facciata, continua a coltivare un progetto di gerarchizzazione della magistratura e burocratizzazione del servizio giustizia, moltiplicandone le inefficienze e i ritardi a discapito dei cittadini e della loro domanda di giustizia.
Le assemblee distrettuali di mercoledì prossimo serviranno a ribadire queste posizioni, ad informare tutti i partecipanti e gli operatori dell'andamento dei lavori parlamentari ed a preparare i conseguenti ineludibili sviluppi conclusivi della presente fase, nell'eventualità, che si deve purtroppo sempre più fondatamente temere, di una approvazione acritica e senza sostanziali modifiche del Senato dell'attuale testo normativo. In tal caso infatti non potranno non essere immediatamente indicate la data e le modalità dello sciopero (e delle congiunte azioni di protesta) già proclamato con le richiamate deliberazioni.
In questo senso si è sempre espressa e continua ad essere fermamente impegnata ad esprimersi la posizione del Movimento per la Giustizia.
Siamo convinti che esse non sarà sterile e vana ma dovrà necessariamente portare, anche nella malaugurata ipotesi di una approvazione e promulgazione della legge delega, e quindi nella successiva fase della decretazione esecutiva, all'inevitabile trionfo della ragione, e dei principi costituzionali così gravemente oggi minacciati 21/10/2004
il Presidente Nino Condorelli
Consiglio superiore della magistratura Parere sul decreto legge 14 settembre 2004, n. 241 recante «Disposizioni urgenti in materia di immigrazione» (Approvato dal Plenum il 21 ottobre 2004)
§ 1. Con nota in data 21 settembre 2004, il Ministro della Giustizia ha chiesto al Consiglio superiore della magistratura la formulazione ex art. 10 della L. 24 marzo 1958 n. 195 di un parere sul disegno di legge di conversione del decreto-legge, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 3 settembre 2004, concernente: "Disposizioni urgenti in materia di immigrazione" (D.L. 14 settembre 2004, n. 241 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 settembre 2004 n. 216). Come evidenziato nella relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione, il decreto-legge si ricollega, per un verso, all'esigenza di colmare il vuoto nella disciplina sull'immigrazione di cui al T.U. n. 286/1998 e succ. Mod. Determinato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222/2004 e, per altro verso, dalla volontà di rimodulare il testo dell'art. 14, comma 5-quinquies del T.U. cit. Oggetto della sentenza n. 223/2004. Con la prima sentenza, il Giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 5-bis, del T.U. n. 286/1998 (introdotto dall'art. 2 del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51, convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106), nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida del provvedimento di accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero irregolarmente soggiornante in Italia debba svolgersi in contraddittorio prima dell'esecuzione del provvedimento stesso e con le garanzie della difesa. Con la sentenza n. 223/2004, invece, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies del T.U. cit. (inserito dal comma 1 dell'art. 13 della legge 30 luglio 2002, n. 189), nella parte in cui stabilisce che per la contravvenzione prevista dal comma 5-ter del medesimo art. 14 (ingiustificata inosservanza all'ordine del questore di allontanamento dello straniero irregolarmente soggiornante in Italia) è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto. Il D.L. 14 settembre 2004, n. 241, oltre a riscrivere l'art. 13, comma 5-bis (inserendo altresì un nuovo comma 5-ter) e l'art. 14, comma 4 T.U., ha trasferito al giudice di pace la competenza sui ricorsi avverso i provvedimenti di espulsione amministrativa e sulle convalide dell'accompagnamento coattivo alla frontiera e del trattenimento nei centri di permanenza temporanea ed assistenza, modificando conseguentemente l'art. 11 della L. 21 novembre 1991, n. 374 e succ. Mod. In tema di indennità spettanti al giudice di pace. Il D.L. n. 241, inoltre, ha modificato l'art. 14, comma 5-quinquies del T.U. cit., stabilendo che si procede con rito direttissimo per i reati ex art. 14, commi 5-ter e 5-quater, che per assicurare l'esecuzione dell'espulsione il questore dispone i provvedimenti di cui all'art. 14, comma 1 (trattenimento nel centro di permanenza temporanea ed assistenza) e che per il - solo - reato di cui al comma 5-quater è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto. Il decreto legge interviene sulle norme degli artt.13 e 14 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 che disciplinano rispettivamente la "espulsione amministrativa" e la "esecuzione dell'espulsione" dello straniero, le quali, prima dell'intervento demolitorio della Corte costituzionale, si articolavano in provvedimenti (decreto di espulsione del prefetto, art. 13 c. 3, accompagnamento alla frontiera disposto dal questore, art. 13 c. 5, provvedimento di trattenimento in centro di permanenza temporanea, art. 14, c. 1) assunti a seguito dell'espletamento di appositi procedimenti amministrativi. Può dunque affermarsi che il regime giuridico dell'accompagnamento alla frontiera, pur permanendone la fonte amministrativa, è oggi ricondotto nell'ambito della giurisdizione, interessando il provvedimento il bene della libertà personale dell'individuo, come tale sottoposto alle garanzie previste dall'art. 13 della Costituzione. L'accompagnamento, infatti, secondo l'impostazione già accolta da Corte cost. 10.4.01 n. 105 (pronunziata a proposito della legittimità della norma che prevede il trattenimento presso i centri di permanenza, ed espressamente richiamata dalla sentenza n. 222/04), "presenta quel carattere di immediata coercizione che qualifica, per costante giurisprudenza costituzionale, le restrizioni della libertà personale e che vale a differenziarle dalle misure incidenti solo sulla libertà di circolazione" e che non [può] "essere assunto dall'autorità di polizia come pienamente legittimo e ancora eseguibile quando il giudice ne abbia accertato l'illegittimità ponendo proprio tale accertamento a fondamento del diniego di convalida".
§ 2. Muovendo da questa premessa, il decreto legge n. 241 ha proceduto ad un radicale intervento sulla fase giurisdizionale prevista per la convalida del provvedimento di accompagnamento e di quello di trattenimento, modificando la disciplina processuale e mutando la competenza dell'autorità giudiziaria, attribuendola al giudice di pace invece che al tribunale in composizione monocratica. Ferma restando la premessa da cui muove il provvedimento di urgenza ora in esame, a proposito di questa ultima innovazione il dibattito svoltosi all'interno della Sesta Commissione referente ha fatto emergere diversi ordini di valutazioni. Secondo una prima impostazione la scelta appena indicata non è distonica rispetto ai principi affermati dalla Corte costituzionale, creando in capo ad uno dei giudici che esercitano la funzione giurisdizionale nell'ambito dell'ordinamento (il giudice di pace) una competenza specifica in materia di convalida dei provvedimenti di accompagnamento e di trattenimento, i quali, come già rilevato, sono strettamente collegati tra loro quanto a natura ed a funzione prevenzionale. In particolare, sotto il profilo dell'individuazione dell'organo giurisdizionale competente nel giudice di pace, da coloro che sostengono questa prima impostazione si rileva che la legge 21 novembre 1991 n. 374, istitutiva del giudice di pace, non esclude che a tale magistrato possa essere affidata la competenza su provvedimenti che abbiano ricadute sulla libertà personale. Secondo tale lettura, la citata sentenza 105/01 della Corte costituzionale, infatti, ha ricondotto i provvedimenti che investono lo straniero clandestino alle "altre restrizioni della libertà personale" di cui fa menzione l'art. 13 della Costituzione e non alla forma della detenzione, pure prevista dall'articolo citato, che la legge istitutiva del giudice di pace, invece, esclude dalle forme di definizione dei processi ad esso affidati. Ne conseguirebbe che, sia pur rientrando il bene affidato tra i diritti di libertà, la natura della procedura sarebbe riconducibili tra quelle affidate alle attribuzioni del giudice di pace. La relazione di accompagnamento al d.d.l. Di conversione del decreto-legge n. 241/2004 evidenzia il "significativo aggravio del carico di lavoro, che l'introduzione della convalida dell'accompagnamento alla frontiera comporta", aggravio che ha orientato la scelta di attribuire al giudice di pace la competenza sui provvedimenti in questione, "liberando conseguentemente di tale incombenza il tribunale". Si esprime indubbiamente una preoccupazione diffusa nella magistratura, la quale non sempre è in grado di offrire un servizio rapido ed efficiente, anche a causa di carichi di lavoro eccessivi e di competenze non sempre attribuite con criteri di omogeneità e funzionalità. Peraltro, di fronte ai diritti fondamentali di libertà posti in gioco, non può non assumere preminenza l'esigenza di assicurare tutte le garanzie ordinamentali e processuali a soggetti che, per la loro, intrinseca condizione personale costituiscono a tutti gli effetti soggetti deboli. E in questa ottica non può non mettersi in rilievo la necessità che al giudice chiamato ad occuparsi di detti procedimenti siano assicurati lo status e la professionalità adeguati ed un'organizzazione dell'ufficio in grado di assicurare certezza ed omogeneità degli indirizzi giurisprudenziali ed efficienza e celerità nella risposta giudiziaria, profili che possono essere meglio assicurati dalla magistratura professionale. A questo proposito, una diversa opinione, pure emersa nel corso della discussione, ha rilevato che, per i rilevanti poteri riconosciuti sul piano processuale penale nell'ambito dei reati rimessi alla sua competenza, alla figura del giudice di pace, già prima di questo intervento di legislazione di urgenza, non può essere più associata l'immagine di soggetto operante esclusivamente nell'ambito della "giustizia minore" con modesti strumenti di intervento, dovendosi allo stesso riconoscere ormai una sua precisa connotazione ordinamentale, operante in un quadro normativo predefinito per scelta del legislatore. Altra impostazione si muove in direzione diversa da quelle appena indicate, rilevando che la stessa legge n. 374 del 1991 ebbe a compiere una scelta di sistema, fissando nella attribuzione della competenza penale per il giudice di pace compiti essenzialmente conciliativi e solo residualmente sanzionatori, escludendo comunque che potesse definire il processo penale con provvedimenti che comportano la detenzione. Tale scelta è peraltro coerente con il modello costituzionale di magistratura onoraria (art.106 Cost.), che ne individua la peculiarità nell'essere una giurisdizione non "minore" (v. Sentenza n.150/93 della Corte costituzionale) ma certamente "diversa" e connotata da una prevalente funzione conciliativa e di tutela di un diritto "più leggero" (relazione al d.lgs. N.272/2002). Viene evidenziato al riguardo che nell'architettura costituzionale esiste un nesso tra il modello di tutela della libertà personale rappresentato dalla riserva di giurisdizione e le garanzie ordinamentali di indipendenza ed autonomia della magistratura: ove le seconde assumono un evidente ruolo di funzionalità rispetto al primo, rappresentandone la condizione di effettività nel concreto svolgersi della vicenda storica. Ferma restando la comune appartenenza all'ordine giudiziario e, di conseguenza, la piena titolarità in capo al giudice di pace delle garanzie ordinamentali previste dalla Costituzione, il diverso status del magistrato onorario rispetto a quello del magistrato professionale dovrebbe riflettersi sulla individuazione delle "materie" da assegnare alla competenza dell'uno e dell'altro: così come a livello costituzionale, esiste un collegamento tra riserva di giurisdizione in tema di tutela delle libertà fondamentali e garanzie ordinamentali di indipendenza e di autonomia dell'ordine giudiziario, a livello di normativa primaria l'attribuzione di determinate competenze al giudice di pace ovvero al giudice professionale deve essere orientata dalla valutazione della natura del bene affidato alla tutela giurisdizionale. In questa ricostruzione, mentre le garanzie costituzionali di indipendenza e di autonomia trovano la loro più completa attuazione nello status ordinamentale del magistrato professionale, caratterizzato dalla non temporaneità e dalla esclusività dell'appartenenza all'ordine giudiziario, per il giudice di pace, il carattere "onorario" ne caratterizzerebbe il profilo ordinamentale e, pur senza accreditarne la figura di "giudice minore", ne evidenzierebbe tuttavia gli aspetti differenziali rispetto alla disciplina ordinamentale del giudice professionale, tanto più significativi ai fini delle valutazioni concernenti il decreto-legge in esame. In particolare, la temporaneità e la non esclusività delle funzioni giudiziarie rivestite dal giudice di pace si rifletterebbero profondamente sull'assetto ordinamentale di tale figura onoraria, delineando i diversi momenti della sua disciplina in termini sensibilmente differenti da quella del magistrato professionale: quali, ad esempio, il regime delle incompatibilità professionali e parentali, che consente al magistrato onorario, nei limiti previsti dalla legge, l'esercizio dell'attività forense. Ciò premesso, quanto agli interessi protetti interessati dalla normativa in esame viene sottolineata una diversa lettura dei contenuti espressi dalla sentenza n.105/2001 della Corte costituzionale, che espressamente individua nella misura del "trattenimento..quella mortificazione della dignità dell'uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all'altrui potere", concludendo che la libertà personale costituisce un diritto che spetta ai singoli "in quanto essere umani" e non in quanto appartenenti ad una determinata comunità. Ne conseguirebbe, secondo tale impostazione, l'emersione di un profilo di diversità di trattamento, atteso che la nuova competenza del giudice di pace si fonda essenzialmente sulle condizioni soggettive più che sulla obiettività delle condotte tenute. In questo quadro di considerazione dei diritti coinvolti e della figura ordinamentale del giudice professionale si evidenzia, altresì, che la relazione tecnica che accompagna l'intervento legislativo quantifica in oltre un milione e settecentomila Euro la somma che annualmente si stima di dover destinare ai giudici di pace quale compenso per le udienze tenute e per i provvedimenti assunti a seguito della nuova competenza e che la somma stessa avrebbe potuto essere destinata a sostenere le esigenze di supporto dei tribunali derivanti dalla accresciuta quantità di lavoro che secondo la citata relazione tecnica dovrebbe essere prodotto della nuova disciplina.
§ 3. La diversa valutazione del contenuto dell'intervento di urgenza a proposito del giudice competente non consente di trascurare, peraltro, una serie di problemi di carattere operativo di cui non si può non considerare a livello pratico l'impatto. Che i tribunali italiani stiano fronteggiando un numero elevatissimo di procedimenti è cosa nota, così che non vi è dubbio che la competenza sui provvedimenti di accompagnamento e di trattenimento degli stranieri comporta, anche in termini organizzativi, un impegno particolarmente gravoso che i magistrati vorrebbero vedere sostenuto da adeguati interventi di supporto. Non va, tuttavia, dimenticato che fino all'entrata in vigore del decreto legge i tribunali hanno trattato i procedimenti relativi alla immigrazione, provvedendo a distribuire il lavoro, ad organizzare i turni, a predisporre i necessari accorgimenti logistici, ed affinando nel tempo la propria giurisprudenza. Lo stesso Consiglio ha provveduto a fornire sulla materia specifiche indicazioni tabellari, che sono state ulteriormente precisate con la circolare del 18 dicembre 2003 relativa al biennio 2004-2005. Si è, pertanto, accumulata una notevole mole di esperienze organizzative ed attuative della legge e si è formata una giurisprudenza che è frutto di una elaborazione più ampia e complessiva sui temi dei diritti della persona, che dovrà in ogni caso costituire un preciso punto di riferimento anche per il futuro. In conclusione, ritiene il Consiglio che la natura stessa dei diritti di libertà oggetto dei provvedimenti giudiziari richieda un intervento di garanzia adeguato sul piano ordinamentale, processuale e organizzativo, che assicuri loro una tutela insieme giusta ed efficace, risultato questo che può essere meglio soddisfatto mediante il ricorso alla magistratura professionale, opportunamente sostenuta nello sforzo attuativo richiestole. § 4. Così esaminato l'aspetto del provvedimento legislativo che è sembrato di maggiore rilevanza istituzionale e ordinamentale, il Consiglio ritiene opportuna un'ultima considerazione che attiene ad una disposizione che solo apparentemente costituisce un corollario della disciplina principale. Viva preoccupazione suscita, infatti, la norma di cui al comma 5-ter dell'art. 13 T.U. introdotta dal decreto-legge in esame: tale norma attribuisce impropriamente ad organi dell'amministrazione dell'interno, e non al Ministro della giustizia (art.110 Cost.), compiti di organizzazione dei servizi della giustizia ed appare idonea a condizionare l'esercizio della giurisdizione, pregiudicandone altresì l'immagine di imparzialità. Tale disposizione dovrebbe, a parere del Consiglio, essere radicalmente ripensata, riportando all'interno degli uffici del giudice di pace, o di locali ad esso riferibili, lo svolgimento delle udienze ed approntando le risorse necessarie senza con questo penalizzare i tribunali che già oggi versano in gravissimo disagio a causa delle carenze di personale e di strutture.
Cronista si finse afgano,condannato
Lo fece per farsi ammettere a centro accoglienza Lampedusa (ANSA) - PALERMO, 22 OTT - Condannato a 15 giorni di arresto, convertiti in 570 euro di multa, il cronista palermitano di 'Repubblica' Francesco Viviano. Era accusato di avere reso false generalita' alle forze dell'ordine. Il giornalista, il 23 giugno 2003, si era introdotto nel centro di accoglienza per immigrati di Lampedusa per un servizio sulle condizioni di accoglienza dei clandestini. Aveva detto di chiamarsi Khalil Amal sostenendo di essere di nazionalita' afghana.
Tutta la mia solidarietà all'ottimo collega!
dal mio vecchio blog Lunadicarta ...
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