Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI

Una riforma dell’ordinamento giudiziario
per un servizio efficiente e una giustizia di qualità,
nel rispetto dei principi costituzionali
La riforma dell’ordinamento giudiziario è necessaria, urgente e praticabile; peraltro è imposta dalla VII disposizione finale della Costituzione. Il legislatore repubblicano non ha finora adempiuto, ma occorre sottolineare che, a seguito delle modifiche di grandissimo rilievo introdotte nel corso degli anni alla luce dei principi costituzionali, dell’ordinamento giudiziario Grandi del 1942 oggi non rimane più nulla. Vi è l’esigenza di una risistemazione organica e la necessità di affrontare in modo più adeguato i problemi nel frattempo insorti: un nuovo sistema di valutazione della professionalità dei magistrati, l’organizzazione di una struttura per la formazione iniziale e l’aggiornamento professionale dei magistrati (la Scuola della Magistratura), un nuovo ruolo per i dirigenti degli uffici, la riorganizzazione del sistema disciplinare, regole più puntuali per il passaggio tra le funzioni di giudice e di pubblico ministero.
1. Le proposte dell’Anm
PROMOZIONE E VALUTAZIONE della PROFESSIONALITA’ dei MAGISTRATI
FUNZIONI di MERITO e FUNZIONI di LEGITTIMITA’
L’Anm ha fornito un contributo di elaborazione e di proposta, nel confronto con l’avvocatura, l’università e tutti gli operatori del diritto, con la pubblicazione del volume “I magistrati e la sfida della professionalità” ed il n. 3-4/ 2003 della rivista “La Magistratura”.
Il cittadino che si confronta con la giustizia ha interesse ad avere un magistrato preparato e qualificato sin dalla prima fase del processo. La nozione di meritocrazia deve confrontarsi con la specificità della organizzazione giudiziaria. Le rigide regole sulla competenza e sulla precostituzione del giudice, la esigenza fondamentale di avere magistrati esperti nelle funzioni di primo grado impongono di avere come primario obbiettivo quello della professionalità diffusa, garantita da un sistema efficace ( e dunque accompagnato da sanzioni significative) di controllo della professionalità di tutti i magistrati.
Nell’ambito delle funzioni giudiziarie la distinzione fondamentale ( nella linea di quanto indicato nella sentenza n.86/1982 della Corte Costituzionale) è quella tra funzioni di legittimità e funzioni di merito. Mentre significativa è la specificità della professionalità del magistrato di merito rispetto a quello di legittimità, così non è per le funzioni di merito di primo grado rispetto quelle di appello.
Valutiamo positivamente che nel ddl sia stato abolito il sistema delle attuali qualifiche astratte (tribunale, appello, cassazione) sganciate dall’esercizio effettivo delle funzioni. E’ altrettanto importante che sia stata mantenuta la progressione nel trattamento economico sulla base degli scatti per anzianità.
Questo sistema assicura la indipendenza interna ed esterna della magistratura, dà attuazione del principio costituzionale per i quale “i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni” (art. 107 co. 3 Cost.), consente al magistrato di permanere nelle funzioni per quali si ritiene più adatto, senza subire rallentamenti nella progressione economica.
Il problema da affrontare è quello di una rigorosa valutazione periodica della professionalità.
Il sistema risultante dal testo del ddl , a nostro avviso non lo risolve. Con il sistema dei concorsi facoltativi ( e gli incentivi economici ad esso connessi) si stimola il passaggio alle funzioni superiori, in contrasto con la esigenza di assicurare che magistrati di esperienza e di provata professionalità rimangano nelle funzioni di primo grado, senza svantaggi a livello di trattamento economico.
Dal luglio 2003 sono entrate in funzione presso 12 Tribunali sezioni specializzate di diritto industriale. Sarebbe del tutto irrazionale, indurre, attraverso l’incentivo economico connesso al concorso per le funzioni di appello, indurre magistrati specializzati ad abbandonare questa funzione di primo grado, di tale importanza da avere indotto il legislatore ad una innovazione ordinamentale.
I momenti di valutazione della professionalità dei magistrati che, per vocazione o anche per scelta di comodo, non ritengano di seguire la via dei concorsi, sarebbero addirittura ridotti rispetti a quelli attuali, pur da tutti riconosciuti insufficienti.
L’Anm avanza tre proposte:
- un nuovo sistema generale di valutazione della professionalità con cadenze ravvicinate, con conseguenze anche sul trattamento economico e che preveda un intervento dei Consiglio degli ordini degli avvocati
- un nuovo sistema per l’accesso alle funzioni di legittimità
- un nuovo sistema per il conferimento di funzioni semidirettive specializzate
Verifiche periodiche di professionalità e produttività
Il nuovo sistema di valutazione di professionalità, alternativo a quello dei concorsi comporterebbe:
- rigorose verifiche di professionalità da compiersi ogni quattro anni sulla quantità e qualità del lavoro svolto dai singoli magistrati;
- blocco per un quadriennio della progressione economica dei magistrati che non superano, con esito positivo, la verifica di professionalità;
- destinazione ad altra funzione dei magistrati che si rivelino inidonei non già all’esercizio delle funzioni giudiziarie in generale, ma all’esercizio della specifiche funzioni in atto loro assegnate
- rimozione dei magistrati che non superano due successive verifiche di professionalità.
Quanto alle fonti di conoscenza dovrà essere valorizzato il contributo delle segnalazioni su fatti specifici provenienti dal Consiglio dell’ordine degli avvocati.
Concorso per l’accesso in cassazione
Per il conferimento delle funzioni di legittimità nell’ambito del Csm dovrebbe essere istituita una apposita commissione referente, in modo da assicurare una adeguata valutazione della professionalità specifica.
Il concorso per esami è inidoneo ad accertare equilibrio, attitudine, professionalità in concreto maturata nell’esercizio delle funzioni di merito, quando di ogni magistrato si posseggono prove di professionalità ben più specifiche e affidabili quali sono gli atti dal medesimo compiuti nell’esercizio quotidiano delle sue funzioni.
Il concorso per l’accesso alle funzioni cassazione potrebbe prevedere che il Csm nomini una apposito comitato consultivo, composto da magistrati di cassazione e di merito e da professori universitari, che operi un primo esame dei provvedimenti e della produzione scientifica degli aspiranti alla funzione di legittimità, finalizzato alla valutazione delle specifiche attitudini.
Tale valutazione, non vincolante, dovrebbe essere integrata da quella della commissione referente del Csm che potrà considerare anche con il dovuto peso professionalità, laboriosità ed attitudini sulla base dell’esercizio concreto della attività giurisdizionale nelle funzioni di merito.
Mentre deve escludersi nel modo più netto un trattamento economico differenziato per la funzione di Cassazione ( come per qualunque altra funzione), l’introduzione di una vera indennità di trasferta sarebbe invece fortemente auspicabile nella finalità di incentivare l’accesso alla Cassazione di magistrati provenienti anche dalle sedi più lontane da Roma.
Concorso per l’attribuzione di funzioni specializzate
Vi sono, nell’ambito delle giurisdizione di merito, funzioni altamente specializzate ( sezioni fallimentari, di diritto industriale, della famiglia etc) che, analogamente a quanto oggi avviene per le sezioni lavoro, richiederebbero una valutazione della idoneità specifica e non una destinazione legata al sistema tabellare
SCUOLA della MAGISTRATURA
La struttura centrale dovrebbe gestire il tirocinio degli uditori, i corsi di aggiornamento professionale ( con moduli più agili e svincolati dal sistema dei concorsi), i corsi per il passaggio da una ad altra funzione, i corsi di formazione per i dirigenti, i corsi per il passaggio dalle funzioni requirenti alle giudicanti e viceversa. Non sembra utile prevedere sedi decentrate, inutilmente macchinose, mentre dovrebbe essere valorizzato l’attuale sistema di formazione decentrata presso le Corti di appello, che già sta dando ottima prova.
Il Comitato direttivo dovrebbe essere composto da magistrati,professori universitari e avvocati e da un rappresentante del Ministro della Giustizia ( in relazione alle attribuzioni previste dall’art.110 Cost.). I magistrati, in maggioranza nel comitato, debbono essere nominati dal Csm.
DISTINZIONI DELLE FUNZIONI
Il valore essenziale da tutelare è la imparzialità del giudice. Se è vero che la garanzia primaria va ricercata nella normativa processuale, l’Anm riconosce l’esigenza di un intervento a livello ordinamentale, che sia dia carico anche delle esigenze di “apparenza” della imparzialità.
A tal fine si potrebbe prevedere che gli uditori, all’esito del tirocinio, siano assegnati per un certo periodo a funzioni giudicanti collegiali .
All’esito di questo periodo potrà esservi una effettiva valutazione ( ed autovalutazione) delle attitudini e si dovranno porre in essere, anche attraverso la Scuola della Magistratura, meccanismi per garantire una migliore specializzazione ed un più elevato livello di professionalità specifica nei magistrati chiamati ad adempiere all’uno o all’altra funzione.
L’Anm ritiene che debba essere mantenuta la possibilità di passaggio da una funzione all’altra ad alcune condizioni:
- decorso di un congruo periodo di tempo ( es cinque anni )
- frequentazione di un corso di formazione presso la Scuola della Magistratura
- rigorosa valutazione attitudinale, solo a seguito dell’esito favorevole del corso di cui sopra, da parte del Csm
- puntale regime di incompatibilità territoriale ( circondario o distretto a seconda delle funzioni di primo grado o di appello di provenienza)
Alle quattro condizioni sopra indicate non si vede perché il passaggio dall’una all’altra funzione non possa essere consentito anche più di una volta nel corso della carriera (evento peraltro nella pratica abbastanza raro).
Occorrebbe prevedere quale criterio di legittimazione per concorrere ad incarichi direttivi (giudicanti e requirenti), ferme le incompatibilità territoriali, l’avere esercitato le funzioni corrispondenti per un congruo periodo di tempo in precedenza.
Non vi dovrebbero essere invece limitazioni per l’accesso indifferentemente alle funzioni di consigliere o sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione, stante la specificità delle funzioni svolte dalla Procura generale della Cassazione.
Un sistema quale quello sopra delineato sembra garantire in modo adeguato il valore della imparzialità ( e della apparenza di imparzialità), della selezione attitudinale e della specializzazione, senza vanificare, nemmeno in via di fatto, il sistema di unicità della carriera voluto dalla Costituzione.
2. I dubbi di praticabilità del ddl 1296-B
PASSAGGIO DI FUNZIONI DOPO TRE ANNI
Il punto focale è costituito dalla circostanza che il concorso unico iniziale, che dà legittimazione al vincitore a svolgere entrambe le funzioni, impedisce una programmazione della copertura dei posti vacanti; non si sa, infatti, quale sarà la scelta definitiva del magistrato dopo l’esercizio delle prime funzioni (praticamente assegnate d’ufficio, essendo la scelta iniziale puramente indicativa e non vincolante per l’assegnazione di esse).
Ne consegue che è probabile che, dopo le prime funzioni, nell’ambito dei vincitori di uno stesso concorso, il numero di coloro che sceglieranno le funzioni giudicanti sarà maggiore di coloro che vorranno svolgere funzioni requirenti, ed in ogni caso sarà diverso dal numero di posti vacanti per ciascuna di esse.
Se ciò avvenisse per più concorsi successivi, ad esempio di trecento posti ciascuno, ne deriverebbe inevitabilmente che, in un arco temporale ad es. di cinque concorsi, si avrebbero forse circa mille giudicanti più del necessario, con corrispondente scopertura per i posti da requirente.
Il problema appare insolubile.E’ previsto, infatti, che solo entro i primi tre anni di funzioni, i magistrati possano partecipare a concorsi per i posti “vacanti” nella funzione diversa da quella svolta, e che solo a questa condizione essi possano cambiare funzione.
Pertanto, se i posti vacanti, ad esempio nelle funzioni giudicanti, nei tre anni di primo esercizio delle funzioni dei vincitori di uno stesso concorso dovessero essere 100, tutti messi tutti a concorso e i partecipanti al concorso fossero 200, tutti idonei, solo i primi cento otterrebbero l’accesso alle funzioni richieste; mentre gli altri cento sarebbero destinati per tutto il resto della loro carriera (in media circa 35 anni su 40) a rivestire la diversa funzione, la prima assegnata loro, eventualmente anche contro la indicazione iniziale prima del concorso.
Questi ultimi dunque non potrebbero mai accedere alla funzione per la quale erano non solo comunque legittimati (avendo superato il concorso iniziale di ingresso), ma addirittura particolarmente qualificati (essendo risultati idonei nel concorso specifico superato entro i primi tre anni di esercizio delle funzioni).
In sostanza, in un periodo di tempo di cinque anni (cinque concorsi successivi), l’unica previsione ragionevole è che vi sarebbe un numero di aspiranti (legittimati e idonei) alle funzioni giudicanti ben superiore alle necessità di organico; in conseguenza un gran numero di posti nelle funzioni requirenti sarebbe coperto, di fatto coattivamente, proprio da costoro, vale a dire da magistrati che non hanno espresso alcun gradimento in tal senso, oltretutto frustati dalla consapevolezza di vedersi sbarrato per sempre l’accesso a funzioni per le quali erano legittimati e idonei.
Né appare soluzione migliore quella (che peraltro sembra esclusa dalla lettera della norma) di ritenere possibile che a tutti i magistrati risultati idonei al concorso per determinate funzioni, concluso entro tre anni, possano poi anche dopo tale periodo essere assegnate tali funzioni, man mano che si liberino i corrispondenti posti, fino ad esaurimento della graduatoria, in quanto ciò comporterebbe che ai magistrati vincitori dei concorsi successivi verrebbe addirittura di fatto impedito di esercitare l’opzione richiesta.
Infatti, è agevole presumere che, nei tre anni di esercizio delle prime funzioni, non si renda libero nemmeno un posto da mettere a concorso, perché tutti quelli resisi vacanti in tale periodo sarebbero assegnati agli idonei dei concorsi precedenti.
In conclusione, la soluzione della scelta definitiva dopo tre anni di funzioni è sostanzialmente impraticabile perché, a seconda delle soluzioni anche solo in astratto pensabili, produrrebbe alternativamente l’effetto o di impedire ai magistrati l’esercizio di un diritto o facoltà inerente al loro status giuridico, oppure di comportare una sovrabbondanza di magistrati in una sola funzione (presumibilmente quella giudicante) con conseguente scopertura irrimediabile e definitiva di posti per l’altra funzione.
Sistema dei concorsi
I concorsi e i corsi di formazione obbligatori per il passaggio a funzioni superiori e diverse non consentiranno al sistema di funzionare, perché macchinoso, costoso e a rischio di essere inefficiente.
Basta pensare ai tempi: è previsto un corso di formazione di cui non è mai specificata la durata, un concorso per titoli o per titoli ed esami di durata indefinita, una valutazione del CSM , l’intervento del ministro in alcuni casi.
Quanto tempo richiederà l’espletamento di questi vari passaggi? Probabilmente da uno a due anni e mezzo (mentre attualmente la procedura dura da otto mesi ad un anno e mezzo per concorso).
Ed ancora: tutto il meccanismo, nella formulazione normativa adottata, è equivoco e poco chiaro in previsione delle sue applicazioni concrete.
Ad esempio, non si comprende se coloro che superano il concorso per le funzioni di secondo grado o di legittimità siano, poi, obbligati ad assumerle effettivamente oppure no. Il dubbio è pertinente perché, in presenza di un unico concorso nazionale per i posti vacanti in tali funzioni può accadere che chi vinca il concorso per funzioni di secondo grado ritenga poi non conveniente l’assunzione concreta di esse laddove ciò comporti, ad esempio, l’esigenza di un trasferimento in altra sede.
Inoltre appaiono incerte, al riguardo, tutte le disposizioni riferibili alle condizioni di legittimazione per l’accesso alle funzioni direttive, perché laddove il D.D.L. fa riferimento a quelle di merito usa sempre l’espressione “…cui possono accedere…magistrati che abbiano superato il concorso per il conferimento delle funzioni di secondo grado…[o di legittimità]…da almeno…anni”, mentre quando si riferisce alle funzioni direttive di legittimità usa la diversa espressione “ …cui possono accedere…magistrati che esercitino funzioni…di legittimità da almeno…”.
Sul piano astrattamente logico nulla impedirebbe che, per l’accesso alle funzioni direttive di merito, si pretendesse il pregresso esercizio di funzioni di secondo grado o di merito come condizione di legittimazione, così come è indubbio che lo si pretenda per l’accesso alle funzioni direttive di legittimità.
Rimane allora inspiegabile perché sia previsto anche il decorso di un certo numero di anni dal superamento del concorso per le funzioni di secondo grado o di legittimità (e non, quindi, dal concreto esercizio di esse), oltretutto variabili di volta in volta, per poter partecipare ai concorsi per gli incarichi direttivi o semidirettivi di merito.
Ed ancora laddove dove sono previsti concorsi per titoli o per titoli e per esami (per es. il n. 3.5. della lett. l), per le funzioni giudicanti di secondo grado), si stabilisce che il CSM conferisca le funzioni secondo l’ordine di graduatoria, con la clausola “salvo che vi ostino specifiche e determinate ragioni delle quali deve fornire dettagliata motivazione e, a parità di graduatoria, secondo l’anzianità di servizio”.
Tale clausola non è ripetuta al punto 1 della lett. m); infatti per gli incarichi direttivi la commissione comunica l’esito del concorso al CSM, il quale, acquisiti altri elementi di valutazione e il parere motivato del consiglio giudiziario e del consiglio direttivo della Cassazione, propone la nomina al Ministro della Giustizia per il concerto.
Varie sono le incongruenze:
a) è prevista la possibilità che il CSM non condivida le valutazione della commissione esterna per il conferimento degli incarichi direttivi ma ciò non è detto espressamente; non si comprende, quindi, se in questo modo si tenda ad impedire la possibilità per il C.S.M. di cambiare l’ordine di graduatoria del concorso oppure no: la previsione della possibilità del CSM di modificare la graduatoria sembrerebbe derivare dal potere attribuito all’organo di autogoverno di acquisire pareri ed altre informazioni, che altrimenti non avrebbe senso ma in realtà la previsione espressa manca;
b) il criterio dell’anzianità di servizio appare ambiguo in quanto ad ogni superamento di concorso, c’è una nuova graduatoria per cui non si comprende più quale sia l’ anzianità a cui riferirsi, se quella dell’ordine di graduatoria della funzione precedentemente esercitata o quella della funzione per cui si è superato il concorso, ma non si esercitano le funzioni;
c) infine non si comprende come il Consiglio direttivo della Cassazione possa esprimere un parere motivato su un magistrato che non conosce.
ALCUNE DISPOSIZIONI SPECIFICHE
Con riferimento alla norma per i capi e vice capi dipartimento e gabinetto del ministro, fermo il profilo di costituzionalità, di cui al punto successivo, rimane comunque ambiguo il concetto di “titolo preferenziale”.
Infatti: alcune volte si parla di “titolo preferenziale, a parità di graduatoria” (lett. h n. 18, comma 1; lett. d comma 5), altre volte solo di “titolo preferenziale” (lett. a, n. 4, art. 1; lett. m, n. 11), n. 8 lett. m comma 4), altre volte ancora(comma 8 lett. m) n. 4) si parla di “titolo preferenziale per l’attribuzione a loro domanda” (capi e vice capi degli uffici di diretta collaborazione col Ministro).
Due sono almeno i significati che si possono attribuire all’espressione “titolo preferenziale”:
a) preferenza a parità di graduatoria, quindi, una preferenza finale ma all’interno del concorso;
b) preferenza, per così dire, iniziale e unica, extra-concorsuale
3. I dubbi di costituzionalità del ddl 1296-B
La stella polare di ogni intervento riformatore in tema di ordinamento giudiziario deve essere la Costituzione che nel titolo IV della parte seconda disciplina “La magistratura” nel rapporto con gli altri due poteri, legislativo ed esecutivo, cui sono dedicati i titoli I e II.
I punti nodali del titolo IV sono l’art. 101, 2° comma “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”; l’art. 105, che riserva al Consiglio superiore della magistratura ogni provvedimento riguardo “le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”; l’art. 107, 3° comma, secondo cui “i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni”.
L’ANM ritiene, in sintonia con le opinioni espresse da illustri rappresentanti del mondo accademico e con il parere del CSM, che il testo di legge delega sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, sotto diversi profili prospetti dubbi di costituzionalità.
Vi sono dubbi di costituzionalità di impianto, con riferimento al complessivo disegno del titolo IV della Costituzione e del modello di magistrato e di ordine giudiziario in esso previsto, nonché alla VII disposizione transitoria della stessa Carta fondamentale, che ha il significato di vincolare il legislatore affinché rinnovi l’ordinamento giudiziario in conformità alle garanzie, ai valori ed ai principi in essa indicati. La incostituzionalità deriverebbe in questi casi da un assemblaggio di norme, che prese ciascuna per sé potrebbero non essere direttamente incostituzionali, ma lo diventano una volta riunite in un aggregato legislativo.
Il sistema generalizzato dei concorsi, - per il numero, per la composizione delle commissioni esterne al CSM ove prevalgono magistrati di legittimità, per il peso dei titoli e degli esami che prescindono dalla valutazione dell’esercizio dell’attività giurisdizionale dell’interessato -non sembra conforme al principio costituzionale della pari dignità delle funzioni e del buon andamento dell’amministrazione, applicabile anche all’amministrazione della giurisdizione.
La erosione dei poteri del Consiglio superiore della magistratura, con riguardo al sistema concorsuale, che comporterà graduatorie formate fuori del suo ambito e sottratte sostanzialmente ad un effettivo sindacato del CSM, e al sistema di Formazione professionale incentrato su una Scuola della magistratura, alla quale sono attribuiti anche poteri di valutazione di professionalità, nel cui comitato direttivo il Csm nomina solo due rappresentanti su sette.
Il nuovo ruolo che viene ad assumere la Corte di Cassazione come vertice non solo del sistema dei mezzi di impugnazione, ma anche organizzativo dell’ordine giudiziario, in contrasto con il principio dell’indipendenza interna dei magistrati.. Tale ruolo è reso evidente dalla partecipazione dei magistrati di legittimità ad ogni commissione di concorso e dal riconoscimento di un titolo preferenziale per il conferimento degli uffici direttivi di secondo grado, che non trova nessuna giustificazione nella specifica esperienza maturata nell’esercizio delle funzioni di legittimità.
La rigida gerarchizzazione dell’ufficio del P.M., attraverso il rafforzamento dei poteri dei Procuratori che, nel modo in cui viene realizzato, lede l’indipendenza dei singoli sostituti e pone in pericolo l’effettiva attuazione dei principi di obbligatorietà dell’azione penale, di uguaglianza e di soggezione del magistrato solo alla legge.
La separazione di fatto delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, che si realizza attraverso la irrevocabilità della scelta dopo i primi cinque anni dall’ingresso in magistratura e, comunque, la forte disincentivazione nell’ambito del periodo in cui tale mutamento è consentito, appare incompatibile con l’esistenza di un unico ordine giudiziario, in cui l’esercizio della funzione giurisdizionale è indifferentemente attribuita ai giudici ed ai pubblici ministeri, e con l’esistenza di un unico Consiglio superiore della magistratura.
Vi sono poi dubbi di costituzionalità di disposizioni specifiche:
La norma che attribuisce ai magistrati posti ai vertici del ministero un titolo preferenziale ai fini dell’assegnazione di uffici direttivi e semidirettivi, viola il principio di uguaglianza e quello della distinzione dei magistrati solo in base alle funzioni e lede altresì il potere valutativo del CSM, irrigidendo il sistema, creando carriere parallele svincolate dall’accertamento in concreto di effettive capacità organizzative ed finendo per attribuire ai Ministri della Giustizia un anomalo intervento nella scelta dei dirigenti degli uffici giudiziari.
La norma che prevede prove per test di idoneità psico-attitudinali, collocate tra gli scritti e gli orali del concorso di accesso e svolte da psicologi e psichiatri, presenta gravi rischi di arbitrio a causa della difficoltà di individuare i parametri oggettivi in base ai quali dovrebbe essere effettuata la valutazione dei candidati sulla idoneità all’esercizio delle diverse funzioni giudicanti e requirenti.
La norma che prevede il potere del Ministro della Giustizia di ricorrere dinanzi al TAR avverso le delibere del Consiglio superiore della magistratura di conferimento o di proroga degli incarichi direttivi adottate in contrasto con l’avviso espresso dal Ministro stesso, sembra esorbitare dai limiti dettati dalle attribuzioni costituzionali ed altera l’integrità delle sfere di competenze dell’organo di governo autonomo della magistratura.
Le norme che, nel procedimento disciplinare, attribuiscono al Ministro della Giustizia un ruolo sembrano esorbita dai poteri ad esso attribuiti dalla Costituzione, con la previsione della facoltà di chiedere al Procuratore Generale la modifica del capo di incolpazione e la previsione della partecipazione all'udienza di un magistrato dell'ispettorato generale il quale ha poteri istruttori sostanzialmente uguali a quelli del P.G..
Roma 30 settembre 2004